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Quanti cuori sepolti a Wounded Knee…

«Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche».

La frase è comunemente attribuita a Toro Seduto, il leggendario Tatanka Yiotake, condottiero dei Sioux Hunkpapa attraverso tutte le Guerre Indiane combattute contro le Giacche Blu, i soldati dell’esercito degli Stati Uniti d’America. In realtà si tratta di un aforisma genericamente attribuibile alla tradizione di pensiero di tutte le tribu indiane, costrette a cedere il passo ad un uomo bianco di cui non riuscivano a comprendere gli usi e i costumi. Solo l’evidente avidità di possesso di tutto quanto il Grande Spirito aveva creato, la terra, l’acqua, l’aria.

Ed il fuoco. A Toro Seduto è attribuita, stavolta con assoluta certezza, un’altra affermazione: «Sette anni fa abbiamo stipulato un trattato con l’uomo bianco. Ci ha promesso che la terra dei bufali sarebbe stata nostra per sempre. Adesso minacciano di prenderci anche quella. Dovremmo cedere, fratelli? O invece dire loro: “Dovrai uccidermi prima di impossessarti del mio paese”?».

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Toro Seduto

Il 15 dicembre 1890 le Giacche Blu lo accontentarono. Con il fuoco, appunto. La squadra di poliziotti inviata dall’Agenzia Indiana della Riserva di Standing Rock nel Sud Dakota per arrestarlo aveva il grilletto facile. E non si fece scrupolo di premerlo, uccidendo il grande capo e suo figlio Piede di Corvo. Si era diffusa la credenza che essi avessero aderito al culto della Danza degli Spiriti, che mescolava spiritualità dei nativi americani e cristianesimo delle origini, e che predicava la restituzione delle terre da parte dei bianchi ai pellerossa. Non era così, il vecchio capo desiderava ormai soltanto vivere in pace e con dignità, dopo 60 anni di guerra ad un destino che non poteva arrestare. Ma le colt della Polizia Indiana semplificarono la questione, e scrissero il capitolo conclusivo della sua leggenda.

Il massacro di Wounded Knee, l’episodio conclusivo e forse più vergognoso delle Guerre Indiane nel Nordamerica, nacque così. Big Foot, il capo dei Miniconjou, una tribù di Sioux Lakota, appreso della morte di Toro Seduto decise di uscire dalla sua riserva per recarsi a Pine Ridge e mettersi sotto la protezione di Nuvola Rossa, l’ancora potente capo degli Oglala. Ma le Giacche Blu erano ormai sul piede di guerra, ed in caccia. Si aspettavano che la tragica fine di Toro Seduto mettesse in subbuglio tutta la nazione indiana, e si disposero a risolvere la questione una volta per tutte.

I soldati intercettarono i Miniconjou sulle rive del torrente Wounded knee. Erano il Settimo Cavalleria, quello del Generale Custer che era stato sconfitto a Little Big Horn. Avevano un conto personale con i pellerossa, e lo saldarono aprendo il fuoco sulla tribù che non aveva nessuna voglia di combattere, quel 29 dicembre 1890. Ma che a quanto pare tardò nell’eseguire l’ordine di deporre le armi. Rimasero sul terreno circa 300 Sioux e 150 soldati, per lo più falciati dal fuoco amico delle mitragliatrici. A Pine Ridge di indiani vivi ne arrivarono soltanto 25, e furono ammassati in una chiesetta addobbata per il natale, sul cui ingresso si leggeva Pace agli uomini di buona volontà.

Sul posto, le autorità statunitensi apposero in seguito una lapide commemorativa, che indicava testualmente il luogo della Battaglia di Wounded Knee. Quando circa un secolo dopo la nozione di politicamente corretto era cambiata, qualcuno cancellò la parola Battaglia e vi sostituì quella Massacro.

Il cadavere di Capo Big Foot

Il cadavere di Capo Big Foot

Era stato l’ultimo scontro a fuoco ufficiale tra nativi pellerossa e soldati bianchi. Il giornalista americano Dorris Alexander Dee Brown ha raccontato la vicenda, insieme a tutte le altre connesse alle guerre indiane ed all’avanzata dei bianchi verso il West ed il Pacifico nel suo celebre libro Seppellite il mio cuore a Wounded knee. Era il 1970, e da poco era uscito nelle sale cinematografiche il primo film che si schierava dalla parte dei pellirosse, Soldato Blu.

La storia di Wounded Knee la conoscevano tutti, indiani e bianchi. Quando tre anni dopo, nel clima di lotta per i diritti civili che pervadeva ormai come un tornado tutti gli Stati Uniti, gli attivisti dell’American Indian Movement occuparono la cittadina di Wounded Knee inscenando una clamorosa protesta, sapevano bene di aver scelto il luogo più simbolico. 200 Oglala fiancheggiati da attivisti di varie etnie tennero in scacco la città e le autorità federali statunitensi per 71 giorni, dal 27 febbraio all’8 maggio 1973. Finché le cose non degenerarono, com’era inevitabile.

Se la Wounded Knee del 1890 era stata definita una Battaglia, quella del 1973 fu definita altrettanto eufemisticamente un Incidente. Gli U.S. Marshals e gli uomini dell’F.B.I. ebbero la meglio nel conflitto a fuoco che lasciò al suolo anche stavolta diversi indiani (più un attivista nero, Perry Ray Robinson, che sparì nel nulla). La cittadina risultò così danneggiata da poter essere nuovamente abitata soltanto nel 1990.

Malgrado le violenze e i soprusi continuassero anche in seguito nei confronti degli Indiani la cui coscienza si era risvegliata, il clima però stava cambiando definitivamente. Il processo contro gli attivisti dell’A.I.M. si risolse in un nulla di fatto, il tribunale prosciolse tutti. Tra tante ingiustizie, gli anni settanta stavano spazzando via dalla coscienza della gente anche quelle commesse contro il popolo a cui il Grande Spirito aveva assegnato la terra delle Grandi Praterie, quando l’aveva creata.

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Gli attivisti dell’A.I.M. occupano Wounded Knee il 27 febbraio 1973

«La vostra gente stima gli uomini quando sono ricchi: perché hanno molte case, molta terra, molte squaw, non è così? […] Bene, diciamo allora che il mio popolo mi stima perché sono povero. Questa è la differenza!»

(Toro Seduto a un giornalista del New York Herald, 16 novembre 1887)

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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