Accadde Oggi Evidenza

Quella notte a Via dei Georgofili

Erano le una di notte, o giù di lì. Ricordo che il boato ebbe la forza di svegliarmi. Una di quelle sveglie che ti rendono subito cosciente, come se non ti fossi neanche addormentato. Cosciente del fatto che è successo qualcosa che non è normale. Quello non era il botto di un fuoco d’artificio (San Giovanni aveva un mese a venire, più o meno), o di un motore a scoppio improvvisamente scoppiato. Quello era uno scoppio d’altro tipo, e di che tipo lo seppi solo il giorno dopo, dal giornale.

Faceva parte della guerra dichiarata dalla Mafia allo Stato. Totò Riina si era convinto di poter combattere in campo aperto, e chi aveva preso il suo posto dopo che il Comandante Ultimo e gli uomini della CRIMOR l’avevano arrestato era convinto di poter continuare quella guerra assurda. La guerra ai monumenti, a ciò che faceva dell’Italia un qualcosa di unico al mondo, per un fatto positivo e non per aver brevettato per prima la peggior forma di criminalità che esista, quella organizzata.

A Via dei Georgofili morirono cinque persone, e con loro la convinzione che stessimo vivendo in un periodo che manteneva qualcosa di sensato, di razionale. Le stragi di Falcone e Borsellino erano state atroci, ma in un certo qual modo comprensibili. Questa no, questa era la dimostrazione che eravamo passati a vivere in un manicomio a cielo aperto.

Aspettavo mio figlio, che doveva nascere di lì a pochi mesi. E quella notte – per la prima e unica volta nella mia esistenza  – mi chiesi se facevo bene a metterlo al mondo. Se quella a cui lo stavo facendo affacciare era vita.

Trent’anni dopo, me lo chiedo ancora. Non per lui, ma per il mio povero, disgraziato paese.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

Lascia un commento