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Raissa e Misha

Ricordo di avere avuto la sensazione che forse ci saremmo risparmiati la terza guerra mondiale nel marzo del 1985. Davanti al numero 10 di Downing Street a Londra si era fermata una zil, l’auto ufficiale sovietica con tanto di bandierina rossa e falce e martello sul cofano. Da essa scese un uomo abbastanza giovane per le medie sovietiche, un viso simpatico, con quella strana macchia sulla fronte, una voglia che se fosse nato in Italia sarebbe stata definita di vino. Ma soprattutto da quella macchina scese lei.

Mikhail Gorbacev era da pochi mesi il nuovo segretario del Partito Comunista Sovietico. L’URSS aveva alla fine dovuto ammettere che Andropov era morto, in tempi più solleciti di quelli occorsi per dichiarare il decesso di Cernenko, per non parlare di quelli di Breznev e di Stalin.

Gorbacev era stato fino ad allora il commissario del Soviet Supremo incaricato di arrabattarsi a proposito di assicurare ai russi ed ai sudditi dell’URSS i raccolti necessari a sfamarli, malgrado la priorità del Partito fosse evidentemente quella di costruire armamenti in grado di fronteggiare l’altra potenza globale, gli Stati Uniti d’America. La sua successione alla carica più alta dell’URSS era sembrata alla fine inevitabile, per quando fosse tutta da stabilire la sua effettività e la sua durata, nel paese dove la gente ancora spariva dal giorno alla notte come se non fosse mai esistita.

Raissa Maksimovna Gorbačëva Titarenko

Raissa Maksimovna Gorbačëva Titarenko

Mikhail Gorbacev, il nuovo segretario, scelse Londra come prima visita di stato all’estero. Di tutti i leader occidentali, Margaret Thatcher era quella che meno di tutti aveva paura di guardare negli occhi il diavolo, il nemico per antonomasia di tutta una generazione, quella del dopoguerra.
Gorby, come un giorno lo avrebbero chiamato affettuosamente – più ad ovest che ad est -, era un altro che di paura ne aveva poca, e l’avrebbe dimostrato nella sua breve ma intensa e leggendaria carriera politica. Soprattutto non aveva paura di quel soggetto con cui nel suo paese nessuno aveva osato confrontarsi più a viso aperto dai tempi di Lenin: il popolo.
Gorby era uno che sapeva bene che il suo paese, il suo sistema politico, erano quasi in ginocchio. La guerra in Afghanistan si stava risolvendo per l’URSS in ciò che per la controparte americana era stata la guerra del Vietnam. Solo che il comunismo, e Gorby lo sapeva bene, non aveva le risorse di sopravvivenza del capitalismo. Qualcosa andava inventato, per scongiurare un crollo che nelle alte sfere sovietiche tutti percepivano come potenzialmente repentino e devastante.

Raissa e Maggie, fatte per intendersi?

Raissa e Maggie, fatte per intendersi?

Gorbacev andò dunque a Londra, a vedere in faccia il nemico nella sua versione più gradevole ed insieme più dura. Maggie era una ironside, una premier dai fianchi di ferro, nella tradizione delle donne leader del suo paese. Ma se Gorby sfondava con lei, aveva la strada aperta per intendersi con tutto l’Occidente e porre fine ad una guerra che, fredda o calda che fosse, avrebbe finito per logorare tutti.

Il resto è storia. Gorby e Maggie si intesero, tanto che poco dopo Gorby arrivò ad intendersi anche con Ronnie. Dove il nickname sta per Ronald Reagan, 40° presidente degli Stati Uniti, colui che sarebbe passato alla storia come quello che aveva sconfitto il comunismo e vinto la Guerra Fredda.

Gorby conquistò il mondo occidentale con la sua bonomia, la sua onestà intellettuale, la sua intelligenza e la sua simpatia. Ma anche grazie al carisma di colei che lo accompagnava sempre, e che come quella prima volta a Londra scendeva dalle zil diplomatiche subito dopo di lui, ma catturava subito l’attenzione di reporter, fotografi e diplomatici.

Lei era Raissa Maksimovna Gorbačëva, la principessa siberiana che aveva conquistato il cuore del futuro leader dell’URSSS e che avrebbe conquistato il cuore dell’occidente nei pochi anni in cui suo marito chiudeva un’epoca e restituiva ad un mondo esitante ed incredulo la sua libertà.

La storia racconta di come Mikhail Gorbacev scongiurò l’eventualità per cui il crollo di un impero non si tradusse in una catastrofe immane, come era successo quasi sempre nella storia. I russi non lo ricordano con onore e gratitudine perché Gorby governò un processo che nell’immediato comportò per il suo paese la perdita dello stato di superpotenza egemone di metà della superficie di questo pianeta.

Raissa Gorbaceva, woman of the year

Raissa Gorbaceva, woman of the year

Sono gli occidentali a tributargli i doverosi omaggi. Per decenni avevamo aspettato i cosacchi ad abbeverare i cavalli in Piazza San Pietro a Roma, ed i carri armati T 70 dell’Armata Rossa ad acquartierarsi a Parigi dopo una cavalcata più irresistibile di quella dei panzer di Hitler nel ‘40. Gorbacev fu colui che permise al mondo di chiudere un’epoca, quella della seconda guerra mondiale e dei suoi conti lasciati in sospeso, senza che ci fosse da pagare un prezzo di questo genere. Pare facile a dirsi oggi. Non lo era.

Ma se fu la sua testa a concepire tutto questo, a liquidare una questione immane come il Muro di Berlino con la storica frase, quasi lapalissiana: «E’ il popolo che decide», furono gli splendidi occhi di Raissa, la sua principessa siberiana, ad addolcire ed a preparare gli animi di chi doveva trovarsi faccia a faccia con suo marito il Segretario, il capo del mondo percepito fino ad allora come ostile che giaceva al di là della Cortina di Ferro.

Helmut Khol, mentre trattava con Gorbacev la riunificazione della Germania dopo il crollo del Muro che divideva in due Berlino e tutte le coscienze de cittadini europei, si sentì prendere ad un certo punto per mano con dolcezza. Voltatosi a vedere chi avesse ardito tanto, si ritrovò ad ascoltare la voce sommessa della principessa sovietica: «La prego di considerare quanto mio marito sta facendo per tutti….»

Ed un paese che era stato diviso dalla bestialità delle più sanguinarie dittature del ventesimo secolo, si ritrovò improvvisamente riunificato grazie alla dolcezza ed al carisma di una donna che come poche altre avrebbe dato sostanza al celebre aforisma secondo cui non esiste grande uomo che non abbia al suo fianco una grande donna.

Raissa e Misha, just married

Raissa e Misha, just married

La regina venuta da Rubcovsk, Siberia, non sarebbe sopravvissuta alle tensioni a cui la vicenda politica del marito l’avrebbe sottoposta. Si ammalò probabilmente durante il colpo di stato del 1991 che mise fine all’URSS ed alla carriera politica del suo ultimo segretario, il suo Misha, e non sopravvisse al ventesimo secolo. Gorby sarebbe rimasto da solo, a testimoniare di un mondo che tutti ormai rinnegavano ma che era stato l’unico possibile – e solo grazie a lui ed alla sua principessa dagli occhi altaici – perché su questa terra continuasse ad esistere una razza umana prospera.

Raissa e Mikhail, il vostro paese non lo riconoscerà mai, ma il mondo intero vi deve la sua stessa sopravvivenza e tutto ciò che è venuto dopo. Tutto l’onore possibile che può essere tributato ad una regina e ad un re.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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