Ombre Rosse

Razza cialtrona

Il rendering di Via Cavour o quello che ne rimarrà, dopo l'ultimazione della Vacs

Nella foto: Piazza San Marco già devastata, all’avvio della Vacs (variante centro storico)

Per generazioni di fiorentini, Piazza San Marco era stata uno degli angoli belli e cari al cuore di Firenze, la finestra sul giardino eletto da Lorenzo il Magnifico per la scuola d’arte destinata nelle sue intenzioni a codificare per sempre il genio della città, e sulla Firenze ottocentesca, classica e romantica, acconciata ad essere Capitale. Tempi vecchi e tempi nuovi che si abbracciavano con il comune denominatore della bellezza, sotto gli occhi di cittadini che forse non pensavano più in grande come una volta, ma che alla grandezza ereditata dal passato ci tenevano come ai propri genitori.

Per la mia generazione, quella piazza con al centro il giardino e le scomode panchine d’ordinanza urbana era stata il punto di ritrovo di studenti e turisti. Noi ragazzi della scuola prima e dell’università poi vi avevamo soggiornato con le più svariate motivazioni. A San Marco c’era il coordinamento di ogni manifestazione pubblica fiorentina, dagli scioperi ai comizi. Lì avevamo trascorso anni un po’ meno di piombo che altrove, e soprattutto su quelle panchine avevamo lasciato battere libero il cuore all’inseguimento dei primi amori, seduti a poca distanza dalla ragazza dei sogni che non girava mai la testa verso di noi, dall’hobo che teneva acceso il suo legame con la vita dando da mangiare ai piccioni i resti di chissà quale magro pasto, dal compagno più facoltoso che aveva preso la schiacciata dal Pugi e non voleva mai dividere.

Su quelle panchine avevamo atteso per ore interminabili l’apertura della segreteria universitaria. A San Marco si decidevano il nostro piano di studi ed il nostro destino, ma mai prima delle dieci. In quel giardino sotto la statua del generale Manfredo Fanti, fondatore del Regio Esercito dopo l’unità d’Italia (ma era una storia che nessuno di noi conosceva o si era dato la pena di conoscere), sedevamo accanto a turisti stremati a loro volta dalla lunga coda per entrare all’Accademia.

Per vedere il David erano venuti – e vengono – dall’altro capo del mondo, mentre noi, che eravamo lì in teoria per apprendere, lo davamo per scontato. Ci vollero i Bronzi di Riace nel 1981 per farci alzare la testa dai Bignami e dai diari e dalle agende che scandivano allora la nostra vita, e scoprire che la stavamo vivendo nella città più bella del mondo. Natì lì per caso, mai abbastanza grati. Il Museo Archeologico Nazionale varrebbe da solo la pena di un viaggio a Firenze, se non fosse che è stretto tra l’Accademia e la Chiesa di San Marco che è già un museo del Rinascimento di per sé.

Siamo cresciuti così, noi ragazzi degli anni 70-80, dando per scontato un patrimonio artistico che credevamo eterno (tanto eterno da poterlo noi per primi trascurare rimandandone la conoscenza) e che invece non lo era. Forze oscure erano al lavoro già allora perché del genio e della bellezza di Firenze appena possibile, appena giunte al governo, non rimanesse più nulla.

Quando il muro di Berlino crollando rese possibile a queste forze ciò che era stato per tutto il dopoguerra grazie a Dio impensabile, governare, Firenze cominciò a perdere ad uno ad uno i suoi pezzi pregiati.

Se passate ora da Piazza San Marco vi viene da piangere. Chi scrive ormai in centro ci va il meno possibile, è come consultare la pagina dei necrologi del giornale per vedere se anche oggi è morto qualcuno che si conosceva bene.

Dario Nardella

La faccia da sole che ride di Dario Nardella sarebbe un oltraggio per qualunque fiorentino purosangue e degno di tal nome anche se non venisse ritratta insieme a pollici alzati che celebrano una qualche oscena vittoria, o senza la compiaciuta prosopopea di chi sta per tagliare un nastro che apre un cantiere e insieme cancella secoli di grande storia.

A San Marco le prossime generazioni andranno a prendere la tramvia, punto e basta. Non alzeranno gli occhi dai loro cellulari più di quanto noi lo facessimo dai nostri appunti di vita vissuta in classe o per le strade dove sceglievamo in alternativa la forca, ma almeno tra noi c’era qualche volenteroso che si lasciava già allora stregare dallo splendore di quello scorcio di mondo. Adesso diventerà un terminal di autobus e treni di superficie. Addio giardinetto, addio piccioni, addio compagni di schiacciata e di sogni. Addio tutto.

Firenze non era di sinistra a quei miei tempi, e c’era un perché. Lo è diventata con l’inurbazione di tanti che – dispiace dirlo, e non mi riferisco a chi nel tempo è venuto a Firenze per lavorare seriamente portando e aggiungendo qualcosa di valido alla città che lo ospitava – insieme ad un finto progressismo hanno portato soprattutto una grande ignoranza. Ultimo in ordine di tempo il violinista Nardella, che sta portando a termine da bravo soldatino la missione avviata dal prof. La Pira tanti anni fa: distruggere questa città e quello che rappresenta. La vendetta del resto di un mondo invidioso contro Firenze.

I Grandi Lavori a Firenze sono stati sempre Grandi Affari, e a certe consorterie del dopocena è sempre stato difficile dire di no, almeno per chi vuole contare. Fece ridere il dibattito, sempre nel 1981, sulla ripavimentazione di Piazza Signoria (manco fosse stata lo stadio del tennis a Flushing Meadows, New York), ma allora anche quelle consorterie si ponevano limiti di decenza.

Il rendering di Via Cavour o quello che ne rimarrà dopo l’ultimazione della Vacs

Del landscape fiorentino, al contrario, in seguito la tramvia ha fatto discreto scempio, senza risolvere più di tanto i problemi di un traffico che era congestionato già cinquanta anni fa soprattutto per motivi di scarsa progettualità urbana. Ed il sindaco Domenici aveva chiarito abbondantemente qual era l’atteggiamento della classe dirigente PD nei confronti della città e dei suoi cittadini. Nel suo progetto originario la T2 sarebbe dovuta passare sotto il Duomo (ebbe buon gioco Renzi a presentarsi abolendo come prima cosa questa scellerata sciocchezza), e quando un referendum cittadino bocciò clamorosamente la sua pervicace idiozia, il bravo ragazzo del PD gettò la maschera e volgarmente dichiarò che del risultato avrebbe fatto un uso appropriato nella stanza da bagno.

Fu estromesso e nessuno lo rimpiange oggi, ma Nardella adesso taglia un nastro simile, al cospetto di una fila di manager e maggiorenti che sorridono, plaudenti. Mai mettere in discussione il potere, si porterebbe dietro il lauto stipendio. Pazienza per la Piazza che la prossima generazione di fiorentini non vedrà più, pazienza per il casino che diventerà muoversi tra Piazza Libertà, Cimitero degli Inglesi e Piazza del Duomo. Firenze sarà più vicina a Milano (alla periferia di Milano!) ed è questo quello che conta.

Il PD intanto si accinge a ben altri affari, l’anno prossimo si rivota per il sindaco e bisogna far sì che scatti nuovamente il meccanismo che ha portato negli ultimi trent’anni personaggi improbabili sul soglio di Palazzo Vecchio. Bisogna trovare, nella narrazione piddina, la Elly Schlein locale che butti in caciara il mazzo di carte della politica. Il partito di maggioranza uscente stavolta non ha buone carte servite di mano.

Ma intanto, la Vacs parte, e non è l’acronimo di vaccata, come dovrebbe essere. Significa variante centro storico. Alla fine, il buon Domenici e tutto il lato oscuro della mia generazione l’hanno avuta vinta. Si metta l’animo in pace il Magnifico. Lo sapeva che di doman non v’é certezza. Se non lo sapeva lui…..

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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