Largo di Terranova, Oceano Atlantico, domenica 14 aprile 1912
Mentre l’orchestrina più famosa della storia suonava una melodia dietro l’altra e la Belle Epoque consumava la sua ultima cena nel salone principale del transatlantico il cui nome di battesimo tradiva la malcelata ambizione degli armatori di aver realizzato l’ottava meraviglia del mondo, sui ponti della nave i Jack Dawson e le Rose De Witt come quelli immaginati da James Cameron si sgranchivano le gambe e sognavano, tentando di scorgere nel buio della notte atlantica le prime avvisaglie di quel Nuovo Mondo verso cui era diretta la grande prua.
«Anche il giovane Jack Thayer fu colpito dalla bellezza del mare e del cielo, quella notte, giacché, indossato un caldo soprabito sull’abito da sera, passeggiò per qualche minuto su e giù per il ponte lance, deserto e solitario, dove il vento fischiava tra gli stralli e dai fumaioli uscivano torrenti di fumo nerastro. “Era una notte stellata”, ricordò poi. “Non c’era luna e non avevo mai visto le stelle brillare più fulgide; sembrava che volessero staccarsi dal cielo. Era una di quelle notti in cui ci si sente felici di essere al mondo”».
(Geoffrey Jules Marcus, Il viaggio inaugurale del Titanic, 1990)
John Borland Thayer III detto Jack (foto a destra) era il figlio di J.B.Thayer II, ex gloria del cricket statunitense e vice presidente della Pennsylvania Railroad, la più antica compagnia ferroviaria degli Stati Uniti. la famiglia Thayer era di ritorno in patria da un viaggio in Europa.
La notte fatale in cui il viaggio finì in tragedia, i Thayer erano a cena nel ristorante della nave, mentre il figlio passeggiava sul ponte. Fu tra i primi ad accorgersi di ciò che stava succedendo. Insieme al padre, Jack si assicurò che la madre Marian trovasse posto su una delle scialuppe di salvataggio. La donna si salvò, assieme al figlio che avrebbe trovato posto su una delle zattere di salvataggio dopo essere caduto in acqua. Il corpo del padre John non è stato mai ritrovato.
«Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912 furono – forse per l’ultima volta – rigorosamente applicate le regole di una cavalleria un po’ romantica che costituiva, in senso esteriore, il punto d’arrivo della civiltà occidentale. Furono salvate per primi le donne e i bambini mentre gli uomini (e fra essi miliardari famosi) si rassegnarono a perire con dignità di gentlemen. Tramontò il mito dell’indistruttibilità di un prodotto della tecnologia moderna. Un mondo che sembrava sicuro e inviolabile, soprattutto per i ricchi, affondò insieme col transatlantico».
(dal sito internet docstoc: Titanic fine di un’epoca)
«L’affondamento del Titanic rappresentò la fine di un’epoca, il sogno infranto della Belle époque. Come per la caduta dell’Impero babilonese, l’affondamento del Titanic ha rappresentato il simbolo dello sgretolamento di orgogliosi imperi, con una simile mescolanza di ricchi, borghesi e poveri tutti destinati insieme all’abisso. Era la fine di una leggenda che sposava la tecnologia alla ricchezza, il materialismo al romanticismo, l’illusione alla fantasia».
(Massimo Polidoro, Grandi misteri della storia).
«Infin che ‘l mar fu sovra noi rinchiuso»
(Inferno, Divina Commedia, XXVI canto)
Alla fine, fu soltanto silenzio, a malapena disturbato – come accade da milioni di anni – dal sommesso rumore del mare. L’alba del 15 aprile sorse su una distesa d’acqua su cui erano disseminati qualche relitto e le poche, insufficienti scialuppe di salvataggio di cui la grande nave, la nuova, effimera signora dei Sette Mari, era stata dotata. Il Carpathia, unico altro transatlantico in grado di rispondere alla richiesta di aiuto del comandante Smith, riuscì a raccogliere e mettere in salvo meno di un terzo degli oltre duemila imbarcati – tra passeggeri ed equipaggio – sull’HMS Titanic. Tra questi, soltanto sei sopravvissuti alla notte passata immersi nelle acque gelide dell’Oceano, non avendo trovato posto sulle scialuppe come il Jack Dawson di Cameron.
Dopodiché, la tragica storia della nave che doveva battere ogni record marinaro ed aprire (in tutti i sensi) la via per il mondo nuovo divenne leggenda. E da allora, grazie anche al sopraggiungere di nuove e se possibile ancora più impressionanti tragedie, a cominciare da quella della Grande Guerra, del Titanic si continuò a parlare soltanto come di una favola. Una favola per adulti, senza lieto fine.
Attraverso i decenni, la grande nave adagiata sul fondale del mare di Terranova continuò tuttavia a suggestionare la fantasia dell’opinione pubblica di tutto il mondo, come la nave di Ulisse naufragata in vista della montagna del Purgatorio. Al pari di lei punita oltre misura da una divinità irritata dall’atto di superbia implicato da quei viaggi ai confini delle possibilità attribuite ad un genere umano che non sa mai qual è il suo posto nel creato.
Il Titanic, il suo ultimo viaggio, il suo destino, divennero inevitabilmente oggetto della fantasia anche di scrittori e cineasti. Alcuni attratti dalla metafora esistenziale implicita, quasi una riedizione del volo di Icaro a sfidare il Dio Sole. Altri attratti piuttosto da una nuova sfida al limite del blasfemo e forse ancora per lungo tempo a venire al di là delle possibilità offerte all’uomo dalla tecnologia.
Recuperate il Titanic!
Cambiare il tragico destino almeno della nave, se non dei passeggeri, scendendo giù fino al fondale dell’Atlantico del nord nel punto in cui si era inabissata. E una volta lì, vedere se e come è possibile riportare in superficie il relitto, che tutti hanno immaginato dolcemente adagiato su quel fondale. Inabissato come la nave di Ulisse, e da allora custodito, quasi protetto dalla stessa divinità del mare di cui aveva provocato l’ira.
Clive Cussler era già un affermato scrittore di romanzi d’avventura, quando decise, alla metà degli anni settanta, di ambientare la nuova impresa del suo superagente Dirk Pitt sul fondo dell’Oceano Atlantico, immaginandolo intento a salvare il mondo (allora diviso in due dalla Guerra Fredda) mediante il recupero della nave affondata e, dalle sue casseforti, di un minerale prezioso per i sistemi di difesa militare.
Il romanzo ebbe fortuna, il film che Jerry Jameson (regista americano specializzato in action e dysaster movies) ne tirò fuori nel 1978 no. Al botteghino, per qualche motivo, non incontrò il favore del pubblico e non riprese che una parte degli ingenti capitali investiti nella sua produzione. Forse giocò a suo sfavore una soluzione tecnica prospettata per il recupero del delitto che sembrava troppo inverosimile, anche prima che si riuscisse a raggiungere il luogo in cui il Titanic giaceva, e a rendersi conto delle sue reali condizioni.
Restano tuttavia di Raise the Titanic! (Blitz nell’Oceano, per l’Italia) oltre alla splendida colonna sonora di John Barry, anche alcuni momenti recitativi assai intensi, al di là degli effetti speciali e del finale indubbiamente suggestivo. Come quando Pitt incontra l’ultimo sopravvissuto del naufragio, l’ex mozzo John Bigalow (interpretato dal solito immenso Alec Guinness)che nel suo buen retiro in Cornovaglia ha conservato la vecchia fiamma del transatlantico, sulla quale ha fatto un sogno proibito.
«Se mai lei riuscisse a riportare su quella nave, forse potrebbe rimetterla al suo posto», dice Bigalow a Pitt, porgendogli la vecchia bandiera che aveva salvato quasi sessant’anni prima.
(segue)
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