Red Land – Rosso Istria, 2018, diretto, sceneggiato e prodotto da Maximiliano Hernando Bruno per RAI Cinema
Credevo che ormai sulla tragedia dell’Istria e sul martirio dei suoi abitanti italiani dopo la seconda guerra mondiale, fosse stato detto tutto, dai media e – nel suo piccolo – anche dal sottoscritto. Credevo che la pratica del riconoscimento ufficiale del destino dei martiri, dei profughi e dei loro discendenti originari di quella che, se le cose fossero andate come dovevano andare, avrebbe dovuto essere la ventunesima regione italiana, fosse ormai avviata. Meglio tardi che mai.
L’Istria e la sua storia tragica sono state per settant’anni un oggetto misterioso. Vergognosamente misterioso. Ricordo i bambini di famiglie di profughi istriani che giocavano con me da piccolo, negli anni sessanta. E non riuscivo a capire perché quelle famiglie di quei bambini miei compagni di giochi venivano guardate in modo così strano, con commenti a volte anche malevoli sussurrati a mezza bocca da tanta gente della civile (e allora sicuramente non sinistrorsa) Firenze. Un trattamento ben diverso da quello ricevuto da altri profughi dell’epoca, come ad esempio gli italiani di ritorno dalla Libia di Gheddafi.
Ricordo lo stupore, quando da studente di Scienze Politiche mi capitarono sotto mano i primi documenti su ciò che era successo in Istria. Qualcosa di cui al di fuori delle mura universitarie e dell’ambiente degli addetti ai lavori non si aveva apparentemente la minima conoscenza o il minimo sentore. Non ne parlava nessuno, anche se molti era impossibile che non sapessero. Quando Roberto Menia, deputato triestino del Movimento Sociale Italiano, per la prima volta alla fine degli anni ottanta sbatté in faccia alla nazione ed all’opinione pubblica la vicenda delle foibe e del comunismo jugoslavo assassino, io fui uno dei primi che a quel punto poté e dovette dire: io sapevo. Dapprima di conoscere esuli istriani e loro discendenti, dapprima di vedere scorrere sul piccolo schermo di una RAI titubante e timorosa delle reazioni dei suoi editori di riferimento (la sinistra del Parlamento che ancora si chiamava comunista) i primi servizi e documentari sul martirio istriano, le testimonianze di vittime e aguzzini, io sapevo.
Non avrei bisogno dunque di vedere Red Land – Rosso Istria. Conosco la vicenda e le sue motivazioni storiche, perché dunque procurarmi altro mal di stomaco, come quello che puntualmente accompagna le visioni in replica di Schindler’s List, di Urla del Silenzio e di altri capolavori che documentano la ferocia umana? Se devo farlo, comunque, è per un doveroso omaggio non solo alle persone il cui tragico destino racconta ma anche a chi finalmente ha avuto il coraggio di raccontarlo, per avere conferma delle ottime recensioni sul film e – ultimo ma non meno importante – per non darla vinta a chi lo sta incredibilmente ostracizzando, poiché non si rassegna alla sconfitta impartitagli da quella storia che settant’anni fa aveva cercato di buttare nelle fenditure del Carso, le foibe, al pari dei corpi spesso non ancora senza vita di quei poveri italiani che il 25 aprile del 1945 si ritrovarono dietro le linee sbagliate.
Red Land, il film coprodotto da una RAI che finalmente accenna a liberarsi dell’ipoteca culturale stabilita dopo il ‘68 dagli eredi di quel comunismo assassino di cui in esso si parla, racconta la storia di Norma Cossetto e di chi come lei fu travolto dall’esercito del popolo jugoslavo agli ordini di un dittatore non meno brutale e infame del nostro appena deposto: Josip Broz detto Tito. Racconta di come l’invidia plurisecolare degli slavi dell’Istria e della Dalmazia verso i più ricchi e progrediti italiani (che abitavano e dominavano culturalmente ed economicamente quelle zone dai tempi della Serenissima Repubblica di Venezia) si mescolò in modo micidiale alla propensione all’assassinio ed al furto degli adepti all’ideologia comunista. Ai quali le vicende della guerra mondiale consentirono di trovarsi in posizione di vantaggio al termine delle ostilità, in condizione di strappare quelle terre e quelle proprietà agli italiani – che fossero fascisti o no, non era quello che interessava agli jugoslavi assetati di bottino di guerra -, in condizione di commettere per numero ed entità crimini almeno pari a quelli del fascismo e del nazismo appena abbattuti.
Il film, sempre secondo le recensioni, racconta in modo equilibrato sia dal punto di vista storico che della sceneggiatura il susseguirsi dei fatti che portarono all’epilogo della sciagurata guerra fascista nei Balcani e – dopo l’8 settembre – al pagamento delle sue conseguenze non da parte di chi l’aveva voluta e ne aveva profittato, ma piuttosto da parte della popolazione inerme di quelle zone di confine dove un tempo il vecchio impero austro – ungarico aveva fatto convivere e prosperare due etnie da allora in poi non più conciliabili: quella italiana e quella slava.
La belva nazifascista fu efficacemente sostituita da quella comunista jugoslava, che usò metodi da far impallidire quelli tedeschi e repubblichini italiani e da far rabbrividire a leggerne i resoconti. Durante la guerra, gli ustascia croati erano stati i principali alleati dei fascisti italiani prima e dei nazisti tedeschi poi, e avevano primeggiato anche nell’efferatezza dei massacri commessi al punto da far inorridire perfino le SS. Alla fine della guerra e subito dopo, il croato Tito permise al suo esercito del popolo, alle sue belve scatenate, di perdere ogni dignità umana nello sterminio della gente italiana a cui bisognava sottrarre la terra e gli averi. La prima pulizia etnica dei Balcani avvenne a spese degli italiani.
La storia di Norma Cossetto è la storia di tante e tanti suoi conterranei e connazionali, anche di quelle e quelli che ebbero più fortuna e sopravvissero. Per poi ritrovarsi guardati storti, quando non sbeffeggiati e oltraggiati nel loro esodo attraverso l’Italia in cerca di una nuova casa. Un’Italia che per pusillanimità o convenienza e comunque senza più dignità, lasciata indietro irrimediabilmente nei giorni dell’8 settembre, aveva accettato l’acquiescenza alle ragioni della Jugoslavia vittoriosa e di un Partito Comunista a cui bisognava concedere tutti i contentini, nella logica dei blocchi in versione vigliacca nostrana.
Norma Cossetto è medaglia d’oro al valore civile, conferitale dal presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi, l’unico tra quanti hanno abitato al Quirinale ad aver celebrato degnamente il ricordo dei martiri delle foibe anche prima dell’istituzione – durante il suo settennato – della apposita Giornata del Ricordo il 10 febbraio, data del trattato di pace che nel 1947 consegnò per sempre alla Jugoslavia le terre che erano state italiane ad est di Trieste e di Gorizia.
Vale la pena conoscerne la storia, per chi ancora non la conoscesse e non immaginasse, non sapesse, non credesse. O prestasse ancora fede (ce ne sono, e stanno rialzando la testa sotto la pretesa di un antifascismo di maniera di cui non tutti hanno perso il gusto o la convenienza nei settant’anni trascorsi) alla propaganda comunista contro cui deve battersi ogni opera che, come ad esempio a suo tempo il Magazzino 18 di Simone Cristicchi, cerca di far luce, informazione, documentazione su una tragedia ormai lontana ma che non diventerà mai antica, obsoleta, finché il nostro popolo ne avrà memoria, avendola finalmente riscoperta.
Vale la pena. Basta, più di ogni altra cosa forse a stabilirlo, andare sul sito di Rifondazione Comunista e leggere la recensione della sedicente storica Alessandra Kersevan (nome croato, anagrafe giuliana, di Monfalcone) che dopo aver tentato di revisionare i fatti descritti da Cristicchi tenta ancora la sorte con Red Land – Rosso Istria. Basta leggere le numerose proteste pubblicate da chi lamenta la scarsa distribuzione del film tra le sale cinematografiche italiane, un residuo della vigliaccheria culturale nostrana che ha permesso e permette ancora ad una sinistra vergognosa e ampiamente sconfitta su tutti i piani ma ancora insediata in numerose istituzioni e posti di comando, di spaventare – tra l’altro con i suoi fiancheggiatori delle cooperative culturali e dei centri sociali – chi vuol fare intrattenimento e insieme divulgazione utilizzando argomenti a lei sgraditi. Perfino all’ultimo Festival di Venezia dove il film è stato presentato, la proiezione è avvenuta in forma riservata.
La storia di Norma, brutalizzata dagli jugoslavi, è la storia della nostra Italia. Il titolo del film è quello della sua tesi di laurea, Istria Rossa (riferito al colore della terra ricca di bauxite di quelle zone), per completare la quale girava la sua regione in bicicletta, quando fu ghermita dai partigiani comunisti slavi e italiani e condotta in quella canonica dove forse – nella sua ultima notte di vita, quella tra il 4 ed il 5 ottobre del 1943 – finì per desiderare ampiamente la morte atroce che le sarebbe stata inflitta all’alba.
Red Land – Rosso Istria, dal 15 novembre nelle sale italiane non gestite da post-comunisti o da vigliacchi.
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