Politica

Salta Conte, Mattarella verso l’Impeachment?

Stavolta la porta dello studio fatale rimane chiusa per meno di un’ora. Non ci vuole tanto tempo per presentare una lista di nomi, sentirsi dire “questo no, non va bene”, sapere di non avere margine di trattativa perché le forze che rappresenti vogliono proprio quel nome in quella casella, restituire l’incarico ricevuto e salutare. Bastano tre quarti d’ora, e il tempo necessario a che un anziano segretario generale, Ugo Zampetti, esca a dare notizia ai media ed al popolo di ciò che ha combinato stavolta un altrettanto anziano presidente.

E’ un paese che sognava di essere ringiovanito per miracolo, e che di colpo si scopre invecchiato, tremendamente invecchiato come quella vecchia politica che pretenderebbe ancora di rappresentarlo (e con le buone ma più spesso le cattive ancora ci riesce), quello che apprende da un imbarazzatissimo Zampetti che il presidente incaricato Conte ha sciolto negativamente la riserva restituendo il mandato al presidente Mattarella. Non guarda nessuno infaccia Zampetti mentre parla con voce appena sopra la soglia istituzionale e mano che non sta ferma, cercando forse con accennata irrequietezza di nascondere un qualche leggero tremito.

Poco dopo, il breve comunicato del professor Conte. Non può dire niente di ciò che è successo veramente in quello studio, dietro quella porta custodita dai Corrazzieri. Ma sceglie almeno di andarsene con dignità e sobrietà (la sua sì, vera e soprattutto non costosa per nessuno) risparmiando parole retoriche ad un popolo affranto e a giornalisti che in gran parte mal celano la soddisfazione per aver visto prevalere la parte a cui sono in quota, per cui tifano, e pazienza se come in certe partite di calcio del campionato italiano l’arbitraggio non è stato un granché.

MortatiDirittoPubblico180528-001Poi esce lui, il presidente, in mezzo ad un nugolo di personaggi che sembrano tanto i pretoriani dell’Antica Roma. E la giornata più nera del suo mandato diventa la notte più nera di una Repubblica che pure di notti nere ne ha avute tante, mano a mano che il suo eloquio faticoso e poco accattivante e le sue argomentazioni ancor meno accettabili si dipanano.

«Ho dovuto tutelare i risparmiatori», è il succo del suo discorso (a cui un Berlusconi ormai crepuscolare si accoderà poi pedissequamente). Quest’uomo passa per un principe del diritto, un costituzionalista, un salvatore della patria giuridica. Viene in mente a chi scrive il vecchio Mortati, Istituzioni di Diritto Pubblico su cui, in un’altra vita e in un altro luogo evidentemente, aveva conseguito una preparazione giuridica ed una fede nello stato di diritto che ormai – nel mondo rovesciato dal PD e dai suoi presidenti della repubblica ad uso e consumo soltanto dei padroni europei – sono assolutamente inutili.

Costantino Mortati era stato membro della Costituente del 1946, membro di quella Commissione dei 75 che redasse materialmente la Carta costituzionale. Dopo avercela data, ce l’aveva insegnata, la Costituzione. Aveva fatto in tempo a insegnarla prima ai nostri genitori e poi a noi. Prima che nuovi giuristi lo soppiantassero, adesso si studia piuttosto sul Renzi-Mattarella-Napolitano. Nella sua versione, l’art. 92 era chiaro, ed era da intendersi nel senso che «il presidente della repubblica ha un ristretto margine di discrezionalità nella scelta del presidente del consiglio (mentre non ne ha alcuno nella scelta dei ministri, formalmente demandata al presidente del consiglio) proprio perché egli dovrà tenere nel debito conto le indicazioni che gli vengono date da coloro che sono gli interpreti della volontà e degli orientamenti del Paese e delle forze politiche rappresentate in parlamento». Di poteri di veto o di altre amenità spacciate per prerogative presidenziali, come si vede, nessuna traccia.

Di tutto ciò che ci rendeva la patria del diritto, nel ventunesimo secolo a trazione UE – PD non rimane parimenti traccia. L’Italia è adesso una repubblica fondata sulle indicazioni di Bruxelles, Berlino, Parigi e sulla tutela di un risparmio che peraltro tra poco non esisterà più, perché eroso da una politica ormai assassina. E chi non ha soldi, nel nostro paese non ha più diritti, a meno che non provenga da altrove. Un altrove qualunque.

alessandrodibattista180528-001

Alessandro Di Battista

Sconcertate ma al momento inefficaci le reazioni di Lega e 5 Stelle, con i due leader Salvini e Di Maio che hanno avuto bisogno di una notte per smaltire una rabbia che la loro pur breve esperienza politica non fornisce evidentemente ancora gli strumenti per gestire con prontezza di riflessi. Molto più di impatto popolare la reazione di Giorgia Meloni e dell’outsider Di Battista (che ha comunque accennato all’intenzione di ricandidarsi in caso di ritorno a breve alle urne), i quali senza mezzi termini hanno parlato con toni durissimi di un Mattarella che si è messo fuori della Costituzione. I leader del tempo di pace non sono gli stessi evidentemente del tempo di guerra.

In tarda serata due notizie. Una a proposito della convocazione da parte del Quirinale di Carlo Cottarelli, l’economista della spending review, sicuramente più grato ai poteri forti della UE ed ai vari inquilini succedutisi sul Colle fin dai tempi del governo Letta. Il tanto sospirato governo del presidente esce dal cilindro del presidente stesso dove evidentemente attendeva pronto da giorni.

L’altra notizia viene dall’entourage di M5S e FdI. Giorgia Meloni e Luigi Di Maio annunciano l’intenzione di procedere alla richiesta alle Camere di avvio della procedura di messa in stato di accusa del presidente della repubblica. Le fattispecie sono quelle previste dalla Carta fondamentale: attentato alla costituzione e alto tradimento. Per la fondatezza di una tale iniziativa, confrontare – chi lo ha ancora a casa – C. Mortati, Istituzioni di Diritto Pubblico.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

Lascia un commento