Goodbye, Norma Jeane, come cantava un giovane Elton John, forse colui che meglio ha saputo raccontare la sua vita. Sessant’anni fa moriva Norma Jeane Baker, o forse Mortenson, o forse Glifford. Non aveva mai saputo chi fosse il suo vero padre, tra tutti gli uomini che aveva avuto sua madre, Gladys Pearl. Per partorirla, il 1° giugno del 1926, Gladys si era potuta ricoverare al Country Hospital di Los Angeles solo grazie alla colletta di alcuni amici. Malata di cinema, battezzò poi la figlia con i nomi di due delle sue attrici preferite, Norma Talmadge e Jean Harlow, e con il cognome che sembra fosse più probabile, Baker.
Facile immaginare quale sarebbe stata la sua storia, se lei avesse accettato il suo destino. Il mondo invece l’avrebbe conosciuta con un altro nome, leggendario: Marylin Monroe. Sfuggendo a una vita che la voleva figlia di una madre mentalmente instabile, oggetto delle attenzioni poco solerti di poco professionali assistenti sociali, ospite infelice di squallidi orfanotrofi in cui un Raymond Chandler o un Michael Connellyavrebbero ambientato volentieri uno dei loro noir, vittima di molestie sessuali da parte di improbabili tutori nominati da disattenti se non addirittura conniventi tribunali, e perfino succube di un matrimonio di convenienza organizzato dalla madre, Norma Jeane visse al meglio che poteva il sogno americano passando da una adolescenza fatta di scuole superiori guadagnate e vissute con sofferenza a servizi fotografici artistici e quant’altro costituiva – allora come in seguito – l’anticamera del dorato, e a caro prezzo raggiunto, mondo del cinema.
La storia è quella che abbiamo sentito raccontare tante volte: nel 1949, il destino mise sulla sua strada il calendario sexy Miss Golden Dreams. Compenso 50 dollari. Norma Jeane, che non se la passava ancora gran che bene, accettò. Le sue foto nude finirono su Playboy, vennero dapprima censurate, ma le aprirono le porte di Hollywood. Era il momento di trovarsi un nome d’arte. Il cognome scelto fu quello della sua nonna materna, probabilmente l’ultimo ricordo felice del’infanzia. Il nome, Marylin, pare fosse scelto perché suonava bene sulle labbra, con la doppia M: Marylin Monroe.
Era bella, Marylin. Bella da impazzire. Da Elia Kazan, a Robert Slatzer a Joan Crawford, a Joe Di Maggio, a Greta Garbo, a Frank Sinatra, il jet set americano perse ben presto la testa per lei. Nel 1953, con Niagara diventò una star del cinema, grazie a Darryl F. Zanuck che vide in lei anche una grande attrice. Seguì Billy Wilder, che le fece girare alcune indimenticate commedie, capolavori come Quando la moglie è in vacanza e Fermata d’Autobus.
Dopo Joe Di Maggio, sposò in terze notte l’autore teatrale Arthur Miller, e dicono che fu a questo punto che la sua vita ed il suo precario equilibrio interiore, conquistato al costo del superamento di tanti drammi e sofferenze, andò in crisi. Combattere nei bassifondi per emergere non era pesato a Norma Jeane. Lottare per avere la stima di intellettuali che vedevano in lei una bellissima donna da scopare e basta, lo scalpo più prezioso tra le dive del cinema, si rivelò troppo anche per una donna che probabilmente aveva una intelligenza pari alla sua straordinaria bellezza.
Tra la fine degli anni 50 e l’inizio dei 60, i suoi film furono tutti capolavori, da A qualcuno piace caldo a Gli spostati, il suo ultimo film. Ma ormai, più che le sceneggiature, i registi ed i colleghi di successo, suoi fedeli compagni erano diventati gli psicofarmaci. Era ormai pronta per la psicanalisi e tutto ciò che ne consegue, quando il destino le gettò tra le gambe l’ultimo ostacolo, insormontabile: entrare nel mirino della famiglia reale, i Kennedy.
Prima JFK, poi il fratello Robert, ne fecero il gioiello più brillante della corona, o forse lo scalpo più prestigioso di una vita sessuale da rapaci. Non sapremo mai quanto di vero c’è nella voce che nel letto di Marylin fossero stati rivelati segreti troppo scottanti. O che forse lei fosse incinta del Kennedy più giovane. O che semplicemente la sua ansia di essere accettata come donna intelligente e non solo come icona sessuale avesse sbattuto irreparabilmente contro la constatazione che gli uomini, quelli potenti, che avrebbero potuto consacrarla definitivamente in quel mondo dorato a cui aveva sempre sognato di appartenere, in realtà non l’avrebbero mai presa in considerazione fuori dal letto.
Il 19 maggio 1962 Marylin Monroe cantò Happy Birthday Mr. President al penultimo compleanno di JFK. Il 1° giugno fu licenziata dalla Twentieth Century Fox dalle riprese del film Somethin’s got to give con la scusa di scarso impegno nelle riprese. Ai primi di agosto il giudice le dette ragione, reintegrandola nel contratto con la Fox, che avrebbe dovuto farle girare altri film. Il 4 agosto incontrò il suo psichiatra, dicendogli di essere «di ottimo umore, di non essere mai stata così contenta».
La mattina del 5 agosto 1962 lo stesso psichiatra, chiamato alle tre di notte dalla sua governante preoccupata, trovò Marylin morta nel suo letto, completamente nuda, come era sua solita abitudine dormire, e con il telefono in mano. L’autopsia avallò un referto in base al quale l’attrice era morta per overdose di barbiturici. L’inchiesta della polizia, a detta di tutti, fu estremamente sciatta e frettolosa, e soprattutto evitò di approfondire la presenza confermata da testimoni di Robert Kennedy, fratello del presidente e Ministro della Giustizia in carica, a casa di Marylin poche ore prima della sua morte.
Misteri di Camelot. Leggende che vivono dentro altre leggende. Quella di Norma Jeane, comunque sia andata, è rimasta come una delle più belle. Marylin Monroe era così affascinante che a quasi 60 anni dalla sua morte sta ancora facendo sognare intere generazioni che non l’hanno nemmeno conosciuta dal vivo. Come James Dean, altra leggenda sospesa nel tempo, per lei vale il detto antico chi muore giovane è grato agli dei.
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