Politica

Settembre andiamo, è tempo di votare

La legislatura che si conclude il 25 settembre passerà alla storia come quella che più di ogni altra delle precedenti ha portato allo scoperto tutti i nodi ed i bluff della politica e della prassi costituzionale italiana. Al punto che ormai una riforma profonda delle istituzioni, una nuova Costituente, si impongono come mai prima d’ora.

Per l’ennesima volta, durante la legislatura n. XVIII, che non a caso si chiude anticipatamente rispetto alla scadenza naturale, le decisioni fondamentali non sono state prese dal popolo o da suoi effettivi rappresentanti. Ma bensì da un anziano signore nominato dai parlamentari di cui è poi per forza di cose debitore e tributario, che agendo sostanzialmente come il re d’Italia in vigenza dello Statuto Albertino ha fatto e disfatto maggioranze e governi (anche antitetici tra loro) accampando la scusa che la Costituzione – o meglio quella cosa strana ed impalpabile che i giuristi chiamano prassi costituzionale – lo consente, anzi lo impone.

Per l’ennesima volta, al profilarsi all’orizzonte di un’emergenza, il sistema Italia ha risposto non chiamando alle urne il popolo ma dandosi arbitrariamente un governo tecnico. Il governo dei migliori, degli Ottimati (non votati) è un vezzo della cultura classica di cui i nostri politici (fino ad una certa epoca almeno) sono stati imbevuti. Non ha mai funzionato, ed anzi è stato libero di fare danni ancora più ingenti non rispondendo ad alcuna maggioranza politica reale.

L’unica volta che il nostro paese ha superato a testa alta un’emergenza è stata durante gli Anni di Piombo. Allora la Democrazia Cristiana seppe assicurare a tutti, alleati internazionali e categorie sociali nazionali, di essere in grado di superare l’emergenza terrorismo, come poi in effetti fece. Una svolta a destra come era successo in Cile o in Grecia (per dirne due) avrebbe del resto gettato benzina sul fuoco degli argomenti di chi in linea con il blocco sovietico auspicava una svolta comunista anche in Italia. La DC governò senza leggi speciali ed ebbe ragione. In ogni altra circostanza, da Pietro Badoglio a Mario Draghi, a Palazzo Chigi si è regolarmente insediato qualche dannoso signore accreditato come il salvatore della patria e poi puntualmente rivelatosi come il suo distruttore.

Questo è il tema di fondo su cui gli elettori vanno a votare questa volta. La Prima Repubblica, Seconda, Terza che sia, non funziona più. E il popolo forse ha finalmente imparato a sue spese che chi governa in suo nome senza averne il permesso fa più disastri di chi quel permesso bene o male ce l’ha, pur non essendo il migliore.

Per il resto, paradossalmente é stata una campagna elettorale inesistente. I temi peraltro erano già chiari, oltre quello di fondo di cui abbiamo detto sopra. Tre anni di pseudo dittatura, giustificata con il Covid prima e con l’assurda (per noi ed i nostri interessi) guerra russo-ucraina poi, hanno privato gli italiani di qualsiasi diritto fondamentale e di qualsiasi certezza economica e sociale. Ottant’anni di repubblica nata dalla lotta al fascismo affossati nelle loro conquiste più nobili da una serie di governi che hanno portato il metodo fascista ad una nuova e più sofisticata release 2.0.

L’argomento principale, stavolta, non è vota destra o vota sinistra: è vota o non andare a votare. La sinistra che sa da tempo di aver perso (difficilmente lo zoccolo duro PD stavolta compenserà il dissolversi del Movimento Cinque Stelle arrivato al capolinea del burlesque grillino) ha l’unica speranza che il quorum si abbassi tanto da rimetterla in gioco per qualche inciucio, come nel 2013 e nel 2018. Dall’altra parte, la destra sa di aver vinto da tempo, malgrado Berlusconi e Salvini abbiano cercato in tutti i modi di dissipare questo vantaggio che la legge elettorale Rosatellum dovrebbe amplificare dando loro probabilmente una maggioranza assoluta.

La novità è proprio il nuovo leader del centrodestra, colei a cui verosimilmente Sergio Mattarella dovrà conferire l’incarico di presidente del consiglio nelle prossime settimane, dopo aver presumibilmente esperito tutte le liturgie e le perdite di tempo che la prassi costituzionale gli accredita.

Si, Giorgia Meloni, con la vicenda propria e di chi non sa più che santo votare altrimenti, rischiara – comunque uno la pensi – questo panorama grigio plumbeo sotto il cui cielo si apre la XIX legislatura lunedi mattina prossimo. E’ tempo per l’Italia di avere una premier donna, e d’altra parte anche a non volere in giro non c’è altro. Ma è decisamente presto – comunque uno la pensi – per investire la leader di Fratelli d’Italia di un ruolo paragonabile a quello di una Thatcher nostrana.

La signora Meloni dovrà dimostrare di averne le capacità, portando l’Italia fuori da un tunnel la cui profondità nessuno immaginava dove potesse arrivare, perfino nei giorni in cui ci si baloccava tra governi gialloverdi e giallorossi.

Giorgia ha il merito indiscutibile della coerenza. L’unica che può dire di non essersi sporcata le mani con e nell’osceno governo Draghi. Ma appunto adesso le mani dovrà sporcarsele eccome. Stare all’opposizione e parlare è una cosa, stare al governo (con gli alleati che ha lei, tra l’altro) ed agire è un’altra.

La sua probabilissima premiership dovrà guardarsi le spalle proprio dagli alleati: l’ondivago e inaffidabile Salvini e l’estemporaneo più che mai cavalier Berlusconi. Che peraltro pare l’unico in grado di ricucire i rapporti italiani con Putin, e quindi di provocare una deflazione delle bollette energetiche che al momento sono forse l’argomento che più interessa gli elettori che stanno per uscire di casa per andare al seggio.

Insomma, la lady di ferro nostrana ha un bel po’ di cose di cui occuparsi e preoccuparsi, cercando di combinare assieme tutte le promesse che ha fatto e tutte le esigenze reali del paese. Una classe politica che si scanna – con il dovuto rispetto – su aborto e matrimoni gay, su ius soli e ius culturae, su patrimoniale e riforma onerosa (per i cittadini) del catasto, non serve assolutamente al paese.

La legislatura che si apre lunedi 26 settembre 2022 potrebbe essere anche l’ultima, ed il governo Meloni l’ultimo eletto democraticamente (o così almeno pare), se tutte queste cose non saranno combinate a dovere.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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