Fu al Festival di Sanremo del 1994 che ci accorgemmo che Giorgio Faletti era molto di più che Vito Catozzo. Era un cantautore di rango, oltre che di lì a poco anche un attore ed uno scrittore di grandissimo spessore.
Era stato in un giorno di maggio di due anni prima che ci eravamo accorti che non c’era più niente da ridere. Che il tempo del cabaret e delle frivolezze era finito, e che la svolta seria, di spessore, di Faletti e di tanti altri era ben accetta. Era doverosa.
Non è vero, come scrive Alfano, che la mafia uccide solo d’estate. La mafia uccide quando le fa comodo. Quella che passò alla storia come la stagione delle stragi, l’attacco al cuore dello Stato portato dai corleonesi di Totò Riina, cominciò in un pomeriggio di maggio del 1992, sull’A29 all’altezza del bivio tra Palermo e Capaci.
Cosa Nostra intercettò il giudice Falcone che tornava a casa da Roma, dove da più di un anno lavorava alla Direzione Nazionale contro il crimine organizzato. I mafiosi sapevano tutto, quando sarebbe atterrato a Punta Raisi, che strada avrebbe fatto e a che ora.
Quando il corteo delle auto di scorta arrivò al bivio, Giovanni Brusca era in attesa con l’innesco dell’esplosivo che sollevò un pezzo di autostrada inghiottendo le vite di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti di scorta sull’auto che precedeva quella del giudice: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
La prima auto fu investita in pieno, la seconda – quella di Falcone e della moglie – si schiantò sulla prima e sui detriti sollevati. Ironia della sorte, i due magistrati non avevano cinture di sicurezza (allora non era obbligatorio) e furono sbalzati contro il parabrezza. I quattro agenti Giuseppe Costanza, Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo, che viaggiavano nella terza auto, si salvarono per miracolo.
La storia la conosciamo tutti, l’abbiamo rivissuta migliaia di volte, la riviviamo ogni anno nella ricorrenza del 23 maggio, così come in tutte le altre in cui servitori dello Stato sono diventati vittime di criminali.
Quella sera, a Sanremo, Giorgio Faletti ce la fece rivivere così, meritando molto più del premio (2° classificato) che la giuria del Festival gli attribuì.
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