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Sleepy Joe all’O.K. Corral

La camminata alla John Wayne di Joe Biden a braccetto con Zelensky per le strade di Kiev mentre suona l’allarme antiaereo vorrebbe rassicurare il mondo, soprattutto quella parte di mondo che ancora si aspetta dagli Stati Uniti d’America l’ultima e decisiva parola per salvare la pace, il pianeta, la nostra stessa esistenza come specie. Sleepy Joe vuol far vedere che si è svegliato, e lo fa proprio sotto il naso del cattivo Vladimir Putin. Vieni fuori se hai coraggio. Uno di noi due è di troppo.

In realtà di rassicurante c’é ben poco. La crisi ucraina è fin dall’inizio – un anno fa esatto – una di quelle che non possono concludersi con vincitori e vinti. Non foss’altro perché, come tutte le crisi che dal 1945 hanno messo di fronte l’una all’altra le grandi potenze, tra le opzioni – terrificante quanto si vuole ma pur sempre possibile – c’é quella della valigetta con i codici per attivare l’arma nucleare. L’arma finale. Preghiamo tutti di non sapere mai cosa sceglierebbe un leader sconfitto, se accetterebbe il tracollo proprio e del proprio paese oppure butterebbe tutto al monte al grido «muoia Sansone con tutti i Filistei!». Dopo di me, il diluvio.

Walking Joe crede di giocarsela sul piano dell’immagine, all’americana. Una camminata alla John Wayne con il fucile in braccio come in Rio Bravo, magari un faccia a faccia finale carico di tensione alla Sergio Leone con la colonna sonora del maestro Morricone, secondo il presidente USA e chi lo consiglia dovrebbero risolvere qualcosa. Gli americani dicono: noi ci saremo fino alla fine. Quello che non dicono è come potrebbe essere questa fine. Non possono saperlo neanche loro.

Ripetiamo, in casi simili non ci sono vincitori né vinti, e per questo è stata inventata la diplomazia. Un’arte peraltro in cui gli yankees non hanno mai eccelso. Men che meno sono più in grado di farlo quei partners europei che una volta più o meno discretamente li prendevano per mano e li conducevano da qualche parte in cui le cose si potevano risolvere con discrezione e senza fare danni. Senza sfide all’OK Corral.

Cammina dunque ancheggiando come un cowboy il Grinta di Washington a braccetto ad uno Zelensky che non crede di poter davvero sconfiggere militarmente il suo dirimpettaio invasore, ma che ha capito che forse grazie a questa camminata si tirerà personalmente fuori dai guai peggiori. L’Occidente del resto i suoi eroi ha spesso sbagliato clamorosamente a sceglierseli, nel dopoguerra.

Dall’altra parte del Corral lo guarda un Putin dagli occhi di ghiaccio come quelli di Clint Eastwood. Il presidente russo oggi terrà un discorso al Parlamento di Mosca equivalente a quello sullo Stato dell’Unione americano. Darà conto dei risultati ottenuti dalla sua invasione nell’anno trascorso e soprattutto degli obbiettivi che si prefigge nell’anno a venire. Mostrerà i muscoli, come si dice in gergo, e sono muscoli che solo uno sciocco potrebbe sottovalutare o sbeffeggiare. Uno sciocco o un borioso emulatore di John Wayne. Nel frattempo, l’Europa sta a guardare come le stelle di Archibald Cronin, mentre le capitali europee brulicano di politici in reciproca missione che finora tuttavia hanno saputo solo ribadire: noi siamo con Kiev. Si, ma per fare cosa in concreto?

Nel frattempo si muove la Cina. E sempre in direzione di Mosca. Adesso Wang Yi, segretario del partito, tra un mese Xi Jinping, presidente della repubblica popolare. A quell’epoca il carillon della sfida all’ultimo sangue presumibilmente cesserà di suonare, il mondo sarà in mano a Clint Eastwood e Lee Van Cleef, sospeso in precario equilibrio tra i loro occhi di ghiaccio. Riteniamo tutt’ora improbabile – per quanto fondamentalmente stupido possa essere l’essere umano – un’escalation nucleare. Ma anche aver ottenuto di spingere Mosca e Pechino verso una alleanza contro di noi sarebbe una cretinata niente male.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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