Nel febbraio del 1977 uscì nel Regno Unito per la Illegal Records, un nome un programma, il primo singolo di un gruppo chiamato, in controtendenza, The Police. Controtendenza anche perché suonava musica di genere punk, come chiunque in Inghilterra in quel momento. Il brano si chiamava Fall out. Il tutto fu giudicato dalle riviste competenti del settore dell’epoca roba come se ne sentiva e se ne vedeva tanta.
Ma il trio dei poliziotti credeva molto in se stesso, e insistette. Stewart Copeland, un batterista americano a Londra, Andy Gordon Sumner, vocalist e bassista di Newcastle che un giorno il mondo avrebbe conosciuto (e amato-odiato) come il Pungiglione, il còrso Henry Padovani, poi sostituito da un altro chitarrista, Andy Summers, si autotassarono e chiesero in prestito al fratello maggiore di Copeland, Miles (loro futuro produttore), quanto mancava a fare la somma per affittare uno studio di registrazione nel Surrey (Londra costava troppo) e tirare fuori un disco che in primo ascolto suscitò le ilarità dello stesso Copeland brother.
Risentendolo meglio, poi però Copeland cominciò a intravederne potenzialità. Al di là del nome osceno, Outlandos d’Amour (una volgarizzazione simil-francese di Outlaws of love, sempre per restare in tema di legal music), l’album messo insieme in ben sei mesi dal trio di poliziotti (che cercavano di approfittavare delle ore più a buon mercato in cui non registravano altri, un po’ come succede per l’affitto dei campi da tennis nei circoli popolari) conteneva dei brani che potevano sfondare. E lo fecero.
Questo gruppo strano di confusionari che mischiavano il punk, il reggae, il jazz e suggestioni vintage rock anni 50, agitavano il tutto e ne tiravano fuori la New Wave, diventò il capostipite di un genere e guidò addirittura quella che è stata definita come la seconda invasione britannica degli U.S.A., dopo quella dei Beatles.
Successe infatti che mentre la BBC boicottava le canzoni dei Police – che parlavano di prostituzione (Roxanne), di suicidio (I can’t stand losing you) e presentavano in almeno un caso un evidente (ed ammesso) plagio del Bob Marley di No woman no cry (So lonely), le radio americane si buttavano entusiaste a trasmettere i loro pezzi. I Copeland furono profeti in patria, trascinando con sé al successo i compari inglesi Sting e Summers.
Per cinque anni, malgrado il loro sound fosse giudicato sempre più ripetitivo dagli addetti ai lavori e malgrado i titoli sempre più cervellotici dei loro album successivi (Reggatta de Blanc, Zenyatta Mondatta), i Police ebbero un successo planetario. Quando si separarono, nel 1984 dopo avere esalato l’ultimo respiro creativo (Every breath you take), continuarono ad averne come solisti, in special modo Sting, che da allora ha avviato una carriera iconica da cantautore polistrumentista e polivalente.
Non li amavo né li amo tutt’ora, né insieme né da singoli, ma ho dovuto inchinarmi – come tutti nella mia generazione – al loro successo. In quel primo disco dal nome così assurdo, Outlandos d’Amour, c’erano dei pezzi che ti facevano muovere le gambe, ti piacesse o no. E comunque sia andata la vicenda della sua composizione, se devo scegliere oggi, 40 anni dopo, un brano del giorno dei Police, So lonely per me resta sempre il migliore.
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