E’ un mondo difficile, sempre di più. Un mondo che alla fine del primo decennio del ventunesimo secolo si è scoperto in preda alle convulsioni di un modello economico impazzito. Bolle speculative, corruzione, capitalismo nuovamente aggressivo, come nel peggiore Ottocento e primo Novecento. Un mondo dove la parola business fa premio su tutto. Anche e soprattutto nello sport.
L’UEFA in mano a Michel Platini era apparsa da subito qualcosa di diverso rispetto al passato. A prescindere da come sono finite le inchieste giudiziarie in merito, fu subito chiaro e lampante a tutti che il colore dei soldi stava diventando la vera bandiera dell’Unione Europea, nel calcio come altrove. A livello FIFA, Sepp Blatter si occupava da tempo dello stesso procedimento su scala mondiale. Nel gioco prediletto da un capitalismo impazzito, tutto ormai aveva ed ha un prezzo. Basta conoscerlo.
Nel 2010, sul mondiale che avrebbe dovuto essere la festa dell’Africa, del Sudafrica apparentemente rappacificato e di Nelson Mandela, era scesa l’ombra pesante della corruzione. Le ultime tre edizioni erano state affidate all’organizzazione di Germania, Sudafrica e Brasile evidentemente con una predominanza – diciamo così – di certi aspetti economici rispetto al possesso dei requisiti di idoneità, dei cosiddetti titoli sportivi e organizzativi. La Spagna aveva vinto a Johannesburg senza ombre, né contestazioni. Ma su tutto ciò che era girato in termini di soldi e favori dietro a quel mondiale, al precedente ed al seguente, le inchieste sono durate a lungo e hanno finito per dipingere un quadro a tinte fosche.
Nelle mani di Michel Platini, come detto, l’UEFA era diventata altrettanto chiacchierata. Già nel 2008 la prevalenza di Austria e Svizzera al fotofinish per l’assegnazione della sede aveva causato non poche perplessità. Subito dopo, era partita la procedura per il 2012, ed agli occhi della pubblica opinione continentale avrebbe ben presto avuto anch’essa i contorni dello scandalo.
Candidate erano l’Italia, che vantava già due edizioni organizzate (quella poi vittoriosa del 1968 e quella post calcioscommesse del 1980), la Croazia, che era stata parte della Jugoslavia organizzatrice nel 1976, l’Ungheria, che in ambito calcistico una certa tradizione l’aveva, la Grecia e la Turchia, al secondo tentativo, la Polonia e l’Ucraina al primo. Le candidate del Mar Egeo furono fatte fuori subito, poi toccò al calcio danubiano e balcanico, quindi – con sorpresa generale – la candidatura italiana avanzata da Franco Carraro, che sembrava oggettivamente non avere rivali, fu penalizzata in dirittura d’arrivo a vantaggio di Polonia e Ucraina.
Ufficialmente, la motivazione del verdetto fu attribuita dall’UEFA all’impressione destata dai fatti occorsi nel 2007 in occasione del derby Catania-Palermo, in cui nel mezzo dei disordini (per la verità più simili ad una guerra civile) aveva perso la vita l’ispettore di polizia Filippo Raciti. In realtà, varie testimonianze straniere (peraltro a lungo rimaste inascoltate in giudizio) attestarono giri di quattrini nei paraggi dei delegati UEFA a cui competeva la scelta finale della sede di Euro2012.
E’ un fatto che Platini e Blatter, che allora agivano di comune accordo, vedevano di buon occhio i nuovi mercati, e Polonia ed Ucraina lo erano. E’ un fatto che dopo il 2006 l’Italia non godeva più di tante amicizie nella federazione internazionale. Fu trovata la motivazione accessoria che i due paesi erano un enorme bacino omogeneo, storicamente legati com’erano da antica appartenenza allo stesso regno, quello del leggendario Jan Sobieski, il salvatore di Vienna dai Turchi.
Quando le istituzioni devono giustificare scelte impopolari o poco comprensibili, spesso attingono alle branche più disparate dello scibile umano. In realtà, Polonia e Ucraina erano due paesi visibilmente arretrati in quanto a infrastrutture ed impianti sportivi. Ma nulla poteva fermare a quel tempo il duo Blatter – Platini, quando si metteva in moto. La finale di Euro2012 si sarebbe giocata dunque allo stadio olimpico di Kiev, il 1° luglio 2012.
Alla quattordicesima edizione della Coppa Delaunay avrebbero partecipato ancora una volta 16 squadre, qualificate attraverso nove gironi eliminatori, con l’aggiunta della migliore seconda, di quattro squadre uscite da altrettanti spareggi tra le altre seconde, di Polonia e Ucraina in quanto paesi organizzatori.
Le nove vincitrici dei gironi di qualificazione furono Germania, Russia, Italia, Francia, Olanda, Grecia, Inghilterra, Danimarca e Spagna. La migliore delle seconde risultò essere la Svezia. Gli spareggi tra le altre dettero i seguenti verdetti: Croazia, Repubblica Ceca, Irlanda, Portogallo.
Le squadre sulla carta migliori c’erano tutte, senza sorprese. La Spagna campione del mondo e una Germania in vistosa ascesa si facevano preferire in sede di pronostico, ma il quadro delle partecipanti era complessivamente di alto livello. Uno dei più alti di sempre.
L’Italia era un’incognita. Ai mondiali sudafricani, il Lippi-bis era stato un disastro, con l’eliminazione al primo turno malgrado un girone tra i più facili di sempre. Il tecnico vincitore del quarto mondiale aveva ripetuto l’errore di quello vincitore del terzo. Lippi, come Bearzot, non aveva saputo trovare ricambi adeguati e tempestivi agli uomini che l’avevano sollevato in aria a Berlino insieme alla Coppa del Mondo.
Sulla panchina azzurra era poi andato a sedersi Cesare Prandelli, reduce da cinque ottime annate alla Fiorentina, interrotte da un improvviso virare alla burrasca dei suoi rapporti con i patron viola Della Valle. Il tecnico di Orzinovi era sembrato in grado di rigenerare la Nazionale così come aveva fatto con la Fiorentina. In più, aveva accettato ed apparentemente vinto alcune scommesse rifiutate dalla maggior parte dei suoi colleghi: la gestione di teste calde come Mario Balotelli ed Antonio Cassano.
L’Italia era stata sorteggiata nel girone C, con Spagna, Croazia ed Eire. Negli altri, si scontravano Polonia, Rep. Ceca, Russia e Grecia nell’A, Olanda, Danimarca, Germania e Portogallo nel B, Ucraina, Svezia, Francia e Inghilterra nel D.
Il girone A e l’Europeo si aprirono con la partita inaugurale tra Polonia e Grecia, dove gli ellenici dimostrarono ancora una volta di essere pessimi clienti. La Grecia passò come seconda dietro la Rep. Ceca, mentre la Polonia fu la prima delle squadre di casa a mancare l’occasione offerta dal torneo casalingo, finendo fuori insieme alla Russia.
Il girone B testimoniò il declino dell’Olanda vicecampione del mondo in carica, incapace di fare punti in nessuna delle tre partite eliminatorie. La Germania confermò il suo buonissimo momento qualificandosi come prima, con il Portogallo trascinato da un superlativo Cristiano Ronaldo al secondo posto.
Nel girone C, l’Italia sorprese la Spagna portandosi in vantaggio con Di Natale e venendo poi raggiunta da Fabregas. Pareggio anche con la Croazia, gol di Pirlo e Mandzukic. Per passare, gli azzurri dovevano battere l’Eire e sperare che non si ripetesse un nuovo biscotto tra la Spagna, già qualificata a suon di gol, e la Croazia a cui serviva un 2-2, come nel derby vichingo di otto anni prima. Così non fu, la Spagna onorò l’impegno battendo i croati, mentre Cassano e Balotelli schiantavano gli irlandesi.
Nel girone D Francia e Inghilterra si divisero la posta nel match iniziale e poi con qualche fatica e risultati rocamboleschi riuscirono ad eliminare sia la Svezia che l’altra nazione organizzatrice, l’Ucraina, con Andrij Schevchenko al passo d’addio.
I quarti di finale offrirono situazioni altrettanto avvincenti, e gioco altrettanto spettacolare. Dopo tre pali clamorosamente colpiti, Cristiano Ronaldo riuscì a bucare la rete dei cechi all’ottantesimo, qualificando il Portogallo come primo semifinalista. La Germania vide qualche sorcio verde nel primo tempo, concluso sull’1-1 con la Grecia, per poi dilagare fino al 4-2 nella ripresa. Tra Spagna e Francia ebbe luogo la rivincita della finale del 1984, ma stavolta il regolare 2-0 andò a referto a favore degli iberici, grazie a Xabi Alonso. L’ultimo quarto fu un combattuto 0-0 tra Inghilterra e Italia, con decisione ai calci di rigore, dove gli inglesi ebbero per l’ennesima volta la peggio. Da notare, il secondo storico cucchiaio europeo dopo quello di Totti nel 2000: stavolta il temerario fu Andrea Pirlo, nel momento in cui l’Italia era sotto per l’errore iniziale di Montolivo.
Semifinali: il derby della penisola iberica, malgrado promettesse gol e spettacolo, finì con un altro 0-0. Ai rigori, cucchiaio di Sergio Ramos ed errore al quinto tiro di Bruno Alves. Spagna alla quarta finale europea, ed in lotta per il terzo titolo, il secondo consecutivo.
Nell’altro incontro, sembrava che quella volta la Germania dovesse mettere fine alla lunga serie di delusioni contro l’Italia. Niente da fare, dopo venti minuti circa tra gli azzurri esplose Supermario. Balotelli schiantò la difesa tedesca con una doppietta spettacolare, a nulla valse il gol della bandiera finale di Ozil per i tedeschi. Italia alla caccia del suo secondo titolo, alla terza finale.
Il primo luglio a Kiev fu uno spareggio europeo tra gli ultimi due campioni del mondo. Ma la Spagna era nel suo momento di forma migliore, forse era superiore addirittura a quella di Johannesburg. L’Italia invece aveva già dato il meglio di sé, e si presentava in finale con alcuni dei suoi migliori acciaccati, come Pirlo e Cassano, e con un Balotelli improvvisamente di nuovo preda delle sue streghe personali.
A Prandelli fu poi imputato di non aver rischiato elementi magari accreditati di minor caratura tecnica, come Alessandro Diamanti, ma di maggior freschezza. Nel calcio non c’è mai riprova, l’unica cosa certa fu che l’illusione di ripetere la gara iniziale durò un tempo circa. Le Furie Rosse andarono avanti con David Silva e Jordi Alba. Nella ripresa il terzo tardivo cambio di Prandelli fu mandato a male da un infortunio, capitato a Thiago Motta. Azzurri in dieci per mezz’ora e Fernando Torres, inarrestabile, che ne segnò loro altri due.
Iker Casillas sembrò dire ad un certo punto ai compagni di non infierire, di portare rispetto all’Italia. E’ un dibattito vecchio come il calcio: continuare a giocare, in questi casi, o tirare i remi in barca? La Spagna, che in quel momento regalava spettacolo, scelse di continuare. L’Italia aveva dato il massimo, non meritava forse quel passivo, ma non era più in grado di evitarlo.
La Spagna raggiungeva la Germania a quota tre vittorie nell’albo d’oro della Coppa Europa di calcio, mettendo a segno un triplete (compresa la Coppa del Mondo) difficilmente eguagliabile in futuro. Ma i record, si sa, sono fatti per essere battuti.
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