Calcio

Storia dei Mondiali di calcio: Russia 2018

Avevamo lasciato i nostri eroi sull’aereo di ritorno dal Brasile, dopo la seconda eliminazione consecutiva al primo turno nella fase finale del campionato del mondo di calcio. Come era successo a quelli di Lippi in Sudafrica, in Brasile i ragazzi di mister Prandelli si erano reimbarcati in preda al rammarico di non aver fatto qualcosa di più, qualcosa che era sembrato sicuramente alla loro portata. E tra le consuete, immancabili polemiche di ogni volta che una spedizione azzurra si concludeva con un risultato inferiore alle attese, che per la Nazionale dalle quattro stelle sono sempre altissime.

Su quell’aereo carico di rammarico e preoccupazione si era estraniato il solito Mario Balotelli, ex eroe dell’Europeo 2012 e adesso isolato nelle sue cuffiette che facevano tanto rapper, lui sempre in bilico tra una identità africana post-moderna ed una italiana che proprio non riusciva a decollare, né dentro di lui né dentro ciascuno dei suoi concittadini.

Su quell’aereo era salito assorto nei suoi pensieri anche il mister Prandelli. Ex Panchina d’Oro con la Fiorentina, ex Re Mida che trasformava in oro tutto ciò che toccava in ambito pallonaro, il Cesare sconfitto meditava l’esilio sul Bosforo, che avrebbe ufficializzato di lì a pochi giorni, sponda Galatasaray. Per il resto, giocatori ed addetti ai lavori immaginavano mestamente di dover rifondare qualcosa. Non immaginavano certo di dover addirittura risorgere, come movimento sportivo, come Nazionale, come paese addirittura.

In Brasile intanto si erano lasciati dietro uno psicodramma di portata addirittura superiore al nostro. La Nazionale verdeoro era andata incontro al secondo Maracanazo della sua storia, questa volta se possibile dai contorni ancora più terribili, più umilianti. La banda messa insieme da Felipe Scolari attorno all’estro di Neymar e pochissimi altri si era dissolta come neve al sole di Belo Horizonte di fronte ai panzer tedeschi. Un 7-1 che avrebbe fatto in negativo la storia del calcio, che si era alimentata fino a quel momento del mito del paese dove giocavano a calcio gli dèi. In finale, la banda di Loew avrebbe giustiziato anche l’Argentina in cui troppo presto Leo Messi era stato paragonato a Diego Maradona e Gonzalo Higuain ai grandi bomber biancocelesti del passato. Il Pallone d’Oro mundial alla Pulce del Barcellona era sembrata una consolazione frettolosa e immeritata. La Coppa del Mondo aveva preso la via di Berlino, dove Angela Merkel aveva potuto celebrare il trionfo della Germania finalmente Grande anche nel calcio. Quattro stelle, come l’Italia che tante volte l’aveva fatta piangere.

Antonio Conte e Gian piero Ventura

Antonio Conte e Gian piero Ventura

L’Italia si era illusa di poter rinascere subito, affidata alle mani capaci del motivatore Antonio Conte. Una via di mezzo tra Julio Velasco ed il sergente Hartman di Full Metal Jacket, il tecnico leccese aveva aggiunto ai tre scudetti consecutivi con la Juventus un quarto di finale europeo che avrebbe potuto essere anche qualcosa di più (e avrebbe causato tra l’altro nuove lacrime alla Germania mondiale) se solo Pellé e Zaza non lo avessero tradito presentandosi sul dischetto dei rigori con la disposizione d’animo degli spavaldi, dei bravacci non supportati da classe sufficiente.

Dopo l’Europeo, Conte aveva realizzato che con quel materiale a disposizione fare più di così era impossibile, e avrebbe preferito le sterline ed il prestigio del Chelsea ad una nuova scommessa in azzurro. Sulla gloriosa panchina della Nazionale azzurra era andato a sedersi il carneade Gian Piero Ventura, che nel suo palmares vantava come giocatore una vita da mediano alla Ligabue, e come allenatore una lunga trafila da provinciale culminata in annate passabili al Pisa ed al Torino. Essendo stato l’unico mister capace di addomesticare il genio (poco) e la sregolatezza (tanta) di Alessio Cerci, una delle tante promesse mancate del nostro vivaio, la FIGC affidata alla surreale gestione Tavecchio credette che potesse essere capace di rivitalizzare anche la nostra rappresentativa nazionale, conducendola all’ennesima qualificazione al torneo mondiale che si sarebbe disputato stavolta in Russia, nell’estate del 2018.

Mai scelta si rivelò così improvvida. Quella di Ventura, non della Russia. Non era il primo CT che veniva scelto a sorpresa al di fuori delle gerarchie dettate dal campionato. Due nomi su tutti, Enzo Bearzot e Cesare Maldini erano stati promossi nell’ambito di carriere federali, anche se nei loro trascorsi azzurri avevano dimostrato di capirci, e di saper gestire un materiale umano che peraltro all’epoca era decisamente migliore.

Lo staff azzurro con Ventura e Lele Oriali

Lo staff azzurro con Ventura e Lele Oriali

La Russia si era guadagnata invece la sua promozione a paese organizzatore in mezzo alle solite polemiche politiche. Nella gestione Blatter-Platini politica e polemica andavano di pari passo più che mai. Dopo il trittico Germania – Sudafrica – Brasile, la FIFA aveva deciso di estendere la rotazione ai cinque continenti e non più a soli due o tre. Il giro ricominciava dall’Europa, per la quale erano in lizza Russia, Spagna, Portogallo, Inghilterra, Paesi Bassi e Belgio. Due candidature bis, quattro prime volte. La spuntò la Russia alla seconda votazione, con retroscena polemici virulenti ma comunque non superiori a quelli occorsi in occasione dell’assegnazione delle edizioni precedenti. Ma la Russia godeva di cattiva letteratura negli ultimi anni della gestione Putin, e sarebbe presto incorsa nelle ire della UE (per motivi politici) e del CIO (per motivi sportivi e di doping) per i quali non le sarebbe stato fatto alcuno sconto di quelli normalmente concessi ad altri soggetti internazionali di gran nome.

Mentre la Russia si preparava comunque ad organizzare il suo primo mondiale, l’Italia si preparava a celebrare – si fa per dire – la sua seconda mancata qualificazione alla fase finale. La prima volta, nel 1958, si era trattato di un episodio. Il CT Foni aveva portato a Belfast una squadra di vecchie glorie che se appena fosse stata messa in campo con più discernimento avrebbe fatto un sol boccone dei nordirlandesi. Presunzione italiana e gioco irlandese al limite del regolamento ed anche oltre causarono il patatrac, e l’Italia assistette al trionfo del giovanissimo Pelé su Liedholm & c. dal salotto di casa arredato con le prime televisioni a tubo catodico.

Stavolta la sorte non aveva arriso alla banda Ventura, affiancandole la Spagna nel girone eliminatorio. Anche se con Conte in panchina avevamo battuto ed eliminato all’Europeo francese gli ex campioni del mondo di Sudafrica 2010, stavolta la faccenda si presentava più dura, i talenti italiani scarseggiavano ulteriormente ed il tecnico pretendeva di giocare come una provinciale in lotta per la salvezza. Difesa rinforzatissima, centrocampo sguarnito, un suicidio contro una squadra che faceva mirabilie proprio a centrocampo. E che ci costrinse al pareggio in casa nostra per 1-1, dandocene poi 3 a 0 in quel di Madrid.

C’era l’ancora di salvezza dello spareggio tra le migliori seconde. Di fronte a noi la Svezia, ed era poco beneaugurante. Una Nazionale di livello quasi pari al nostro, ma con molta più grinta e ammantata di una cabala negativa per noi. La Svezia era stata spesso presente alle nostre dèbacles, negli anni 50 e negli anni 80. Ci sarebbe stata anche stavolta, 1-0 per loro a Stoccolma, 00 a Milano San Siro e buonanotte Italia.

Alla cerimonia inaugurale il 14 giugno 2018 allo Stadio Lužniki di Mosca e nelle dodici sedi del torneo mondiale in terra russa si presentarono dunque trentadue nazioni dai cinque angoli della terra, tra le quali appunto non l’Italia. Oltre alla Russia (qualificata d’ufficio in qualità di paese ospitante) erano presenti Brasile, Iran, Giappone, Messico, Belgio, Corea del Sud, Arabia Saudita, Germania, Inghilterra, Spagna, Nigeria, Costa Rica, Polonia, Egitto, Islanda, Serbia, Francia, Portogallo, Uruguay, Argentina, Colombia, Panama, Senegal, Marocco, Tunisia, Svizzera, Croazia, Svezia, Danimarca, Australia e Perù.

12.11.2017 Fischio finale a San Siro, Azzurri in ginocchio, Italia fuori dal mondiale 2018

12.11.2017 Fischio finale a San Siro, Azzurri in ginocchio, Italia fuori dal mondiale 2018

Un’altra volta costretti a partecipare ai Mondiali dal salotto di casa, arredato sessant’anni dopo da televisioni ultratecnologiche, maledicendo (sportivamente) lo sventurato Ventura e poco o nulla rincuorati dai vagiti della nuova Nazionale di Roberto Mancini. Consolandoci ancor meno con quel mal comune mezzo gaudio che vedeva stavolta rimanere a casa oltre a noi anche i Paesi Bassi (tre volte finalisti), il Cile (detentore della Copa América), il Camerun (detentore della Coppa d’Africa) e gli Stati Uniti (detentore della Gold Cup).

Al Lužniki il 14 giugno la cerimonia di apertura in cui spiccava l’estro e la sregolatezza di Robbie Williams lasciò la scena ai padroni di casa della Russia opposti all’Arabia Saudita. Presente e futuro del calcio altrettanto inediti e clamorosi visto che nella stessa sessione che aveva designato i russi come paese ospitante del 2018 il duo Blatter – Platini aveva sparato un botto ancor più clamoroso affidando l’edizione successiva del 2022 nientemeno che ai cugini arabi del Qatar. Dal gelo siberiano alle sabbie infuocate del Golfo Persico, per il pallone si prospettavano tempi se non duri certamente diversi dalla tradizione.

Il mondiale russo si sarebbe risolto in una delusione per i tifosi di quel paese che sognavano la conquista della loro prima coppa del mondo, ma anche in un indubbio spot per il governo guidato da Vladimir Putin, che non aveva badato a spese (costo complessivo stimato in 14 miliardi di dollari circa, l’edizione più costosa della storia) per ripulire la faccia al paese che da quasi un decennio si accreditava altrimenti in campo internazionale come pericolo pubblico numero uno.

Le novità erano la presenza di absolute beginners come Islanda e Panama e l’introduzione del Video Assistant Referee (VAR) che avrebbe dovuto scongiurare errori di giudizio da parte degli arbitri (il gol clamorosamente annullato all’Inghilterra contro la Germania in Sudafrica era ancora negli occhi di tutti). Altra novità fu l’eliminazione al primo turno proprio dei campioni in carica, i tedeschi, per i quali quattro anni erano passati lasciando tracce pesanti.

Fin dalla fase a gironi erano emersi come favoriti dal pronostico i due team che avrebbero disputato la finale, Francia e Croazia. Appannatissima l’Argentina, nella quale non brillava – tanto per cambiare – la stella di Leo Messi. In tono minore anche Spagna e Portogallo, quest’ultimo a sua volta praticamente privo dell’estro di Cristiano Ronaldo. La Russia continuava il suo sogno issandosi ai quarti a spese dei campioni del 2010, la Francia estrometteva i finalisti di Brasile 2014 e l’Uruguay faceva altrettanto con i lusitani, vincitori due anni prima dell’Europeo francese.

Ai quarti, la Francia in cui si sta affermando la classe di Mbappe spezzò il sogno dell’Uruguay di rinverdire fasti ormai lontani, il Belgio confermò il periodo inglorioso del Brasile, l’Inghilterra regolò la Svezia che aveva eliminato l’Italia e toccò alla Croazia mettere fine al sogno dei padroni di casa, ai calci di rigore. I croati tornavano in semifinale venti anni dopo il mondiale francese del 98, i russi dovevano rimandare il loro appuntamento con la gloria a data da destinarsi.

In semifinale, il derby Francia – Belgio si risolse a favore dei bleus, malgrado il pronostico a quel punto indicasse come favoriti i diavoli rossi di Bruxelles. Nell’altro incontro, gli inglesi si illusero andando in vantaggio ma furono i croati a guadagnarsi la prima finale della loro storia rimontando ai supplementari.

A San Pietroburgo Hazard guidò i suoi alla conquista della finalina e di un terzo posto che ad oggi è il miglior risultato del Belgio ai Mondiali.

I festeggiamenti francesi a Mosca……..

Il 15 luglio a Mosca, allapresenza del presidente Macron, la Francia che tornava in finale dodici anni dopo Berlino e la sconfitta con l’Italia resisté nel primo tempo alla apparentemente più solida Croazia fino alla rete di Mandzukic. Peccato che l’asso croato stavolta sbagliasse porta, affondando le speranze del suo paese. Altro eroe negativo per la Croazia fu Perisic, autore del momentaneo pareggio e subito dopo del fallo da rigore che rimandò avanti i francesi. Nella ripresa ancora Francia in difficoltà al cospetto di una Croazia che macinava più gioco di lei, ma capace di andare a segno ancora due volte con Pogba e Mbappe. Secondo gol della bandiera per i croati segnato da Mario Manzukic, stavolta nella porta giusta e grazie ad un portiere francese, Lloris, non certo trascendentale.

L’urlo che si era strozzato due anni prima sugli Champs Elysèes grazie ad un Portogallo eroico poté finalmente liberarsi nel cielo sopra Parigi. A Zagabria, invece, i sogni erano morti poco prima dell’alba.

……e quelli a Parigi

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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