Diario Viola Fiorentina

Storia della Fiorentina – 51. Paletti e Pioli

Un nuovo Chiesa in maglia viola.....

La pratica Paulo Sousa viene archiviata nell’estate del 2017 senza troppi rimpianti. Il mister che sembrava in grado di riportare il sogno a Firenze chiude con un quinto ed un ottavo posto all’attivo, risultati che in altre stagioni sarebbero stati salutati come positivi, e che adesso invece sono vissuti come deprimenti.

Dopo la prima stagione, quella del sogno scudetto svanito sulle immagini di coda del mitico Benalouane che festeggia con il Leicester campione a sorpresa d’Inghilterra malgrado lo stipendio glielo abbia pagato la Fiorentina, Paulo Sousa sarebbe anche sazio e chiederebbe il conto. Ma i Della Valle gli ricordano pubblicamente e a brutto muso che con loro i contratti si rispettano. Il mister è costretto a respingere le offerte che avrebbe dall’Italia e dall’estero, e resta sulla panchina come un bello senz’anima.

Di emozionale nel campionato seguente non c’é niente. La festa dei novant’anni della Fiorentina è vissuta con sufficienza dai quadri societari e con straziante nostalgia dai tifosi. E’ una stagione da separati in casa quella vissuta dai fiorentini sia con il mister portoghese sia con gli imprenditori marchigiani, con i quali sembra che l’ultimo filo sottile di feeling si sia ormai definitivamente strappato.

Ha un bel tentare la A.C.F. Fiorentina una nuova strategia comunicativa, lanciando la campagna Quattro quartieri un cuore viola che tenta di legare la tradizione del calcio storico fiorentino a quella della squadra dei Della Valle, affiancando alla maglia casalinga dal tradizionale colore viola quattro maglie da trasferta con gli altrettanto tradizionali colori dei quartieri del calcio storico. Ottima idea, ma arriva forse troppo tardi, e non basta.

L’estate del 2017 è complicata da tante cose. Il ridimensionamento deciso da una proprietà, che ha dato vistosamente mandato al diesse Corvino di liberarsi di vecchi campioni e onerosi ingaggi sostituendoli con improbabili ragazzotti da plusvalenza e poco altro, guasta subito le ferie ai fiorentini. Passi per Vecino, i 24 milioni pagati dall’Inter possono valere gioco e candela, ma dargli anche il sindaco in pectore Borja Valero no, quello proprio non va giù. La fiaccolata pro Borja di fronte allo stadio Franchi può essere considerata a tutti gli effetti il primo flash mob di contestazione alla famiglia Della Valle.

Poi c’é la grana Bernardeschi. Le sirene juventine hanno messo sul piatto 40 milioni, ed il ragazzo non ha esitato. Per un professionista del calcio l’occasione è di quelle da non perdere, anche perché a Firenze di progetti di grandezza ne sono rimasti pochi. Per i tifosi in cerca di un’altra bandiera che avevano salutato con grande speranza la maglia numero 10 affidatagli da Sousa è un tradimento imperdonabile. Intanto il centrocampo viola è tutto da inventare, così come l’attacco orfano di Nikola Kalinic passato alla Milano rossonera.

Non aiuta, paradossalmente, la vittoria delle ragazze viola nel secondo campionato della loro storia. Volere è potere, sembrano dire Alia Guagni & compagne abbracciate attorno alla gigantografia dello scudetto bianco rosso e verde. Prende il magone a richiamare alla memoria analoga foto scattata ad una squadra maschile sullo stesso prato, ma quasi cinquant’anni prima. L’ultima volta.

C’é chi si spreca nei consueti luoghi comuni stupidamente sessisti. Il fatto è che le donne – che a ottobre giocheranno la Champion’s League – hanno fatto quello che agli uomini sembra ormai impossibile che un giorno possa riuscire di nuovo, e per l’appunto siamo a pochissima distanza dall’aborto del sogno di Paulo Sousa. Gongola il presidente delle Women’s Sandro Mencucci, esiliato – secondo una lettura non troppo distante dalla realtà – dal calcio che conta. Nel novembre successivo è lui ad entrare nella Hall of Fame viola. Il gesto di gran classe con cui chiama sul palco i suoi datori di lavoro (accortisi di soprassalto di avere vinto finalmente qualcosa) sarà anche un atto dovuto e di lealtà, ma suona di fatto come un sonoro ceffone sulle loro facce.

Ultimo, ma non meno importante, non aiuta la neonata Fiorentina ridimensionata nelle risorse e nello spirito la micidiale compressione del calendario fatta da una Federazione che ancora si illude di andare ai Mondiali del 2018 in Russia. Gian Piero Ventura semplificherà le cose a tutti abbastanza presto, rimediando la seconda ignominiosa estromissione dalla fase finale di un Mondiale della storia azzurra. Ma intanto il campionato è cominciato addirittura il 20 agosto, strozzando in gola il boccone del pranzo ferragostano a tutti quanti.

Sulla panchina viola è arrivato Stefano Pioli, vecchio combattente dell’area di rigore gigliata dei tempi di Baggio e Batistuta. Viene da una stagione scialba all’Inter, di quelle che per l’Inter sono abbastanza frequenti ma che possono ridimensionare la carriera di un allenatore emergente. Vorrebbe tanto rilanciarsi a Firenze, ma capisce subito sotto che chiari di luna è arrivato. E siccome è un aziendalista nel senso buono del termine ed anche un signore, non batte ciglio, fa buon viso a cattivo gioco ed attinge al suo bagaglio di tecnico provinciale per disporre al meglio in campo quello che ha. Poco, veramente poco.

La Fiorentina esordisce a San Siro buscandole dall’Inter, dopo un quarto d’ora è già sotto di due, ed alla fine saranno tre a zero. La domenica seguente a Firenze viene a fare una scampagnata la Sampdoria dell’implacabile ex Quagliarella. Anche in questo caso, basta mezz’ora per chiudere i giochi.

La squadra sembra aggrapparsi a due o tre pilastri, attorno ai quali ruotano tutta una serie di figure che appaiono di secondo o terzo piano, malgrado la presentazione dialetticamente roboante fatta loro dal Corvo al momento degli acquisti (o dei prestiti). In difesa, dopo l’addio di Gonzalo è tutto sulle spalle di Davide Astori, capitano coraggioso di una truppa di mestieranti tra i quali promette qualcosa il solo German Pezzella. A centrocampo, regge tutto Badelj, che avrebbe voluto a quel punto essere altrove ma a cui è stato chiesto un altro anno di sopportazione. Il croato forma un trio eterogeneo con il francese Veretout e con l’ex torinista Benassi. Davanti, alla promessa Simeone, il cholito figlio del cholo Diego, viene affiancata la vecchia gloria Cirillo Thereau. C’é un altro figlio d’arte però a far sognare tifosi e ad incantare addetti ai lavori: Federico, figlio di Enrico Chiesa, che promette di riprendere il discorso interrotto da suo padre sulla stessa erba nella infausta stagione 2001-02, ed appare talmente brillante da far dimenticare l’altro Federico, quello passato alla Juve.

Un nuovo Chiesa in maglia viola…..

In qualche modo, questo rassemblement serra i ranghi sotto la guida di un Pioli che non si lamenta, non recrimina e pensa solo a lavorare, a capo basso. A partire dalla goleada inferta ad un Hellas Verona che eccede nel gemellaggio al Bentegodi, la Fiorentina infila un girone d’andata che si conclude a Natale con un insperato ottavo posto, frutto di risultati abbastanza regolari con medie, piccole e comunque pari grado e di altrettanto regolari batoste con le squadre più forti.

L’avventura in Coppa Italia, ai quarti di finale, dura giusto il tempo di andare a fare la solita figuretta in casa della Lazio, alla quale per buttarci fuori basta proprio il minimo sindacale.

Il 31 dicembre 2017 si chiude un anno vissuto mediocremente, tra il crepuscolo di Sousa e la stentata alba di Pioli. Ma insomma, cosa vuoi chiedergli di più al mister parmigiano che rispetto a quello portoghese ha una squadra decisamente inferiore e tuttavia sta allo stesso punto della classifica?

Per quanto poco accattivanti siano il gioco e lo spettacolo, viene da dire che Stefano Pioli stia cavando il sangue dalle rape, come si suol dire da queste parti. I mugugni semmai cominciano a spostarsi progressivamente sulla figura del direttore sportivo, il Corvo che con la sua dialettica sempre più pirotecnica difende a spada tratta le sue sempre meno comprensibili manovre di mercato. E poi su di loro, i patron Della Valle, fino a quel momento abbastanza risparmiati secondo l’assunto in base a cui si critica il maggiordomo ma mai il padron di casa.

Mentre sulle cancellate del Franchi (e una volta, udite, udite! perfino sul sacro suolo del Piazzale Michelangelo) si affacciano sempre più di frequente striscioni irriverenti che segnano il distacco ormai tra la proprietà e la città, comincia il girone di ritorno di una Fiorentina che secondo qualcuno continua a sperare in un piazzamento in chiave Europa League, per il quale francamente almeno un paio di squadre, Sampdoria e Atalanta, sembrano più attrezzate.

Per capire che fondamento hanno queste speranze, basta guardare negli occhi Pioli. Il mister ha lo sguardo sempre più cupo, ma l’espressione del suo volto è ancora determinata. Il suo atteggiamento è quello di chi cerca con ogni mezzo di tenere insieme quello che ha. Dopo i regali della Befana portati dall’Inter che viene a fare una figuraccia delle sue al Franchi, arrivano due batoste con Sampdoria e Verona (quest’ultima a domicilio), che sembrano indirizzare la stagione verso la riedizione di annate che si cerca sempre di dimenticare, per quanto possibile.

Alla quarta di ritorno, la Juventus viene a vincere al Franchi con l’ex gioiellino viola Bernardeschi che apre le marcature con la stessa punizione infilata l’anno prima nella porta del Borussia, e poi non capitalizzata. Due prestazioni interlocutorie contro Atalanta e Chievo recano un minimo di sollievo ad una squadra che è scivolata all’undicesimo posto e che comincia a guardarsi le spalle con preoccupazione crescente.

Quando la banda Pioli parte per Udine, il 3 marzo 2018, giocatori e tifosi sono tra color che son sospesi. La partita del giorno dopo è di quelle determinanti, contro un’Udinese che è una tradizionale bestia nera dei viola. I quali devono fare risultato o andare incontro al proprio prevedibile destino.

Il destino in realtà è in agguato in una maniera che nessuno può ancora immaginare. Quella partita, il giorno dopo, è destinata a non essere giocata. Nella notte udinese è successo qualcosa, e il mondo – non soltanto viola – non sarà più lo stesso.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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