E’ tornato.
Come l’altra volta, ho sentito dapprima il silenzio. Poi i suoi occhi su di me. Le creature della foresta sono rimaste in attesa del ripetersi del miracolo del lupo che incontra l’uomo, delle due metà della stessa anima che tornano insieme. E non sono rimaste insoddisfatte.
Mi sono girato di spalle come l’altra volta, e lui era lì. A fissarmi negli occhi con quei suoi che cambiano colore ad ogni raggio di sole, ad ogni soffio di vento, ad ogni mio respiro. A parlarmi attraverso i secoli e le discendenze affini con quel suo linguaggio muto che risuona fin nel profondo di me.
Come l’altra volta, non ho avuto paura. Solo sorpresa, per aver ritrovato un vecchio amico. Un compagno di caccia del tempo in cui sfamarsi era un’impresa ardua per tutti e due, all’alba del nostro mondo. Non so cosa sente lui, esattamente. Forse le stesse mie reminiscenze. Forse la stessa animale mia sensazione di potersi fidare. So solo che tra noi passa muto un segnale. Una consuetudine, una fratellanza ancestrale riprendono in forma essenziale. A questo punto definitiva.
Non sono il suo pranzo, sono l’occasione di averne uno senza dover ritornare allo stato primordiale. Il cacciatore lupo si è ricordato del cacciatore uomo e delle migliori opportunità incontrate dai suoi antenati insieme a lui. Il lupo grigio si è ricordato di me, che non l’ho sfidato, non l’ho temuto, non l’ho combattuto, né mi sono sottomesso. L’ho rispettato e lasciato andar via dopo un breve saluto, sapendo in cuor mio che sarebbe tornato.
Eccolo. Lui è qui. Anzi, forse è meglio dire lei. E’ una lupa, me lo dice la pelle sul ventre che ancora non è ritornata tonica, dopo un parto di chissà quanti cuccioli. Me lo dice l’ansia, senza tuttavia alcuna traccia di disperazione, con cui si è spinta fino al mio insediamento umano, e adesso mi fissa con più aspettativa dell’altra volta. Un impeto di commozione mi attraversa. Era incinta già al primo incontro, e se si è fidata di me portando in corpo le sue creature, allora mi sono meritato davvero la sua anima.
C’è un vecchio detto da queste parti. Quando i suoi cuccioli hanno fame, la mamma esce dalla tana a cercare cibo a qualunque costo. E soprattutto, si ricorda di essere la femmina del lupo.
Ti avrei chiamata Buck, amica mia. Se tu fossi stata quel maschio spensierato in cerca di compagni d’avventura che avevo pensato. Ma sei una mamma, e di pensieri ne hai tanti quanti sono i cuccioli che ti aspettano su alla tana. Dovrò trovarti un altro nome.
Intanto, la priorità è un’altra. Un movimento quasi impercettibile del tuo capo mi mostra insieme la misura della tua impazienza e la direzione del tuo ritorno a casa. C’è tanta fame in attesa, lassù. E tu mamma lupa hai deciso che devo pensarci io.
Non sono più quel cacciatore a cui eri abituata guardando i miei avi dal corpo ancora simile a quello delle scimmie. La mia razza caccia adesso in posti che si chiamano supermercati. Ma ti dice bene, a te ed alla tua prole. Ad andare in casa ed agguantare una buona metà delle mie provviste alimentari ci metto poco. Le scatolette e le confezioni si trasportano bene, ragazza mia. E per quanto ne so, voi lupi non siete poi tanto schizzinosi. Basta non si tratti di carogne, non siete iene. Se ne trovano più in mezzo alla mia specie, se è per quello.
La lupa mi ha osservato durante tutti i miei preparativi. In qualche modo ha capito che sto lavorando per lei e la sua famiglia, perché si è messa seduta in paziente attesa. Due o tre volte ha tirato fuori la lingua, in quel gesto di curiosa affettività che hanno cani e lupi quando si fidano dell’uomo e confidano che da lui venga loro qualcosa di buono.
Con lo zaino in spalla, mi sono avviato verso di lei. E’ rimasta ferma, aspettando che mi avvicinassi. A quel punto ho dovuto prendere una decisione. Passarle accanto, sfiorarla, toccarla…… Ho deciso di tentare la sorte oltre misura, e mettendo in gioco tutte le mie recentissime nozioni e supposizioni ho steso una mano sulla sua testa, accarezzandola.
Senza rinunciare ad un briciolo della sua postura regale, la mia amica selvaggia ha piegato la testa accennando a venire incontro alla mia carezza. Poi si è girata, facendomi segno che basta con i convenevoli, era ora di decidersi ad andare.
Il lupo femmina ed il maschio della specie umana si sono incamminati fianco a fianco su per il sentiero che porta ad un altro mondo, ad un altro tempo, ad un altro connubio tra animali che si perdono e si ritrovano a vicenda continuamente, fin dall’inizio dell’evoluzione.
Lei ha ancora la lingua allegramente penzoloni tra i denti, anche se i suoi occhi di ghiaccio non lasciano mai completamente incustodito l’orizzonte ed i paraggi. Io le ho sorriso. Ho appena messo su famiglia, credo. La mia compagna è una lupa del grande nord, i miei figliocci mi aspettano da qualche parte affamati e giocosi.
Alla mamma metterò nome Claire, ho deciso. Un nome che evoca dolcezza e grazia e che poco si attaglia forse a questa creatura che risponde al richiamo della foresta selvaggia. Ma la Claire che ho conosciuto un tempo era anche una guerriera, e portava quel nome con l’orgoglio di chi sa difendersi tanto quanto affezionarsi. Forse il destino ha voluto restituirmi la sua anima reincarnata in questa creatura. Forse la metà che ho ritrovato non è solo quella del lupo ancestrale, ma anche quella del perduto amore dei miei anni giovanili.
Forse, da qualche parte lassù nel cielo grigio, la mia Claire umana ci osserva compiaciuta, dopo aver guidato i passi della mia Claire lupa che adesso trotterella al mio fianco.
Forse, salendo su per questo sentiero, stiamo tornando a casa tutti e due.
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