Dice Adriano Panatta: il tennis è lo sport più difficile del mondo, perché è l’unico in cui vai in campo – e ci resti – da solo. Non hai compagni a cui appoggiarti (tranne che nella specialità del doppio), né allenatori a supportarti (tranne che nello speciale torneo per nazioni che una volta andava sotto il nome di Coppa Davis). Sei solo contro tutti, l’avversario, la folla, soprattutto te stesso. Se non hai una struttura mentale capace di tenere duro, non puoi farcela. Diceva a tal proposito un grande del tennis dei tempi andati, Ken Rosewall: «Tutto è perduto se non è la mente a controllare ogni tuo movimento».
Dice Nicola Pietrangeli: la vicenda di Berrettini, in caduta libera dopo una serie di infortuni e di vicende personali extra-tennistiche, non desta partecipazione o commozione particolari. Matteo aveva tutto per trionfare, come i Panatta ed i Pietrangeli di un’altra epoca, e sta sprecando tutto senza portare a casa alla fine che poco o nulla.
Ecco, la vicenda non solo dell’ultimo di una serie di tennisti che promettevano a torto o a ragione di diventare fuoriclasse e/o numeri uno ma dell’intero tennis italiano si può riassumere in queste dichiarazioni di coloro che ne hanno rappresentato senza discussioni il punto più alto.
Abbiamo avuto tanti campioni di ottimo livello, i moschettieri degli anni 50 Gardini, Sirola, Merlo, e quelli degli anni 70 Barazzutti, Bertolucci, Zugarelli. Poi abbiamo avuto i Cancellotti, Camporese, Nargiso, Gaudenzi. Poi basta, il testimone è passato in mano alle donne e c’é rimasto fino a poco tempo fa. Ma il tennis italiano, nessuno si offenda o si risenta, è stato soprattutto Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta. Se il palmares della F.I.T. vanta titoli prestigiosi, è grazie a loro due. Che avevano un talento tale da sopperire a qualsiasi passeggera debolezza mentale, voglia di bella vita, voglia ridotta di soffrire. Gli altri sono stati tutti talenti costruiti, e quelle debolezze non se le potevano permettere.
Panatta e Pietrangeli li stiamo a sentire volentieri quando ci spiegano, con una punta di malinconia nella voce, perché dopo di loro non c’é stato più nulla. Perché dopo oltre un secolo di gesti bianchi abbiamo portato a casa una sola Davis, tre Roland Garros, tre Internazionali d’Italia, e una serie di tornei importanti ma che potevano esserlo anche di più. Nicola rese le armi, le racchette, poco dopo la seconda finale degli Assoluti nel 1971 in cui fu sconfitto da Panatta. Il quale le rese a sua volta allorché un ragazzino gli chiese una racchetta in regalo uscendo dal Foro Italico a Roma, e lui – sentendo i suoi giorni di tennista alla fine – gliele regalò tutte.
Era il 1983, da allora cerchiamo una terza P, o come voglia cominciare il cognome di un nuovo campione assoluto. Gli spagnoli negli ultimi 40 anni ne hanno avuti una cifra, senza contare Nadal. I francesi non ne parliamo. Americani ed australiani sono scaduti, ma qualche campioncino lo mandano ancora in giro a fare incetta di tornei. Noi abbiamo salutato come un miracolo il torneo di Montecarlo vinto da Fognini, mentre sua moglie Flavia Pennetta portava a casa Flushing Meadows e la Francesca Schiavone vinceva il Roland Garros. Sara Errani e Roberta Vinci ci dettero Wimbledon, poi basta, anche tra le donne.
Ci ha illusi, Matteo Berrettini, e se secondo qualcuno ciò non si può dire al punto da incitare il romano a fregarsene delle idiozie che si sentono in giro (vero Camporese?), pazienza. Ci ha illusi lui, e probabilmente lo sta facendo anche Sinner. Appena il gioco si fa duro, i nostri escono dal gioco. De anni fa Berrettini sembrò poter mettere sotto Djokovic, sul centrale di Wimbledon. Poi entrarono in gioco le teste: quella del venticinquenne Berrettini andò in black out, quella del trentaquattrenne serbo mise il turbo e buonanotte sogni di gloria italiani.
Intorno a Berrettini girano voci di ritiro, non solo dall’imminente Wimbledon ma dai campi di gioco in generale. Delle vicende sentimentali del romano ci interessa più o meno quanto interessa ad Omar Camporese di dare un giudizio equilibrato su ciò che commenta. Per noi ha ragione Pietrangeli. Se hai avuto tutto dalla vita, sprecarlo è un delitto. Se il tuo problema è atletico – e ci sta, perché il gioco di Matteo si è visto fin da subito che era assai dispendioso per il suo fisico – allora ti metti da qualche parte in qualche circolo e ti ricostruisci una preparazione atletica dignitosa, e pazienza se Melissa Satta nel frattempo deve aspettarti a bordo campo e si annoia.
Ma il problema, di Berrettini, di Sinner, degli altri portacolori italiani a cominciare dall’ormai vecchio e dal talento ormai sprecato Fognini, è la testa. I nostri ragazzi italiani non hanno voglia di soffrire, non sanno farlo. Stanno sparendo da qualsiasi disciplina sportiva, e chiediamoci un facile perché. Nel tennis è più facile sparire, in campo sei da solo e il tuo coach può comunicare con te solo a partita finita, quando hai stretto la mano all’avvversario e te ne ritorni mogio moglio negli spogliatoi.
A tale proposito, c’é una voce tra le tante sconfortanti che sembrerebbe ridare un po’ di speranza agli aficionados che da 40 anni non trovano pace, figurarsi mai una gioia. Secondo radio spogliatoio Berrettini sarebbe intenzionato ad assumere come super coach nientemeno che sua maestà (abdicata di recente) Roger Federer. Il quale pare che si sia detto disponibile, nonché convinto di poter dare una svolta alla carriera del romano (se il romano ha ancora una carriera).
Non siamo di quelli che considerano il fuoriclasse di Basilea il più grande di tutti i tempi (Pietrangeli aveva da vedersela con Rod Laver, Panatta con John McEnroe, abbiate pazienza…..), ma se riesce a rimettere in campo una versione decente del nostro tennista che più di ogni altro ha mostrato comunque doti tecnico-atletiche e un atteggiamento da fighter (almeno fino alla sospensione da Wimbledon 2022 causa Covid), siamo disposti a diventare tutti suoi tifosi.
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