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Tienanmen, una storia cinese

Xiao Jianhua blocca il carro armato in Piazza Tienanmen

Tieni a mente Tienanmen. Quante volte l’abbiamo visto scritto sui muri delle case nelle nostre città, da quel 4 giugno 1989 in cui il governo cinese aveva represso nel sangue la prima – e finora unica – rivolta contro di esso da parte di intellettuali e studenti da quando il 1° ottobre 1949 l’Impero Celeste aveva assunto il colore rosso del regime comunista, sotto la guida del Grande Timoniere Mao Tze Tung.

La foto del ragazzo che sulla celebre piazza di Pechino si mette di fronte al carro armato per arrestarne l’avanzata con la forza soltanto della propria fragile ma spavalda presenza divenne emblematica di un evento epocale, destinata a rimanere nella storia come simbolo immortale, al pari del miliziano spagnolo ferito a morte di Robert Capa o dei Marines che piantano la bandiera a stelle e strisce ad Iwo Jima. Vi si percepiva tutta la tensione repressa del pugno di ferro militare a stento trattenuto di fronte all’opinione pubblica mondiale.

Quel pugno di ferro che alla fine comunque si abbattè, producendo diverse vittime e ponendo fine alla Primavera di Pechino. Perché al pari della vita umana o della libertà individuale, l’opinione pubblica internazionale è un qualcosa che il governo cinese non ha mai tenuto in gran conto. Poco più che un fastidio, da scacciare via come una mosca.

Il successore del Timoniere, in carica come segretario del Partito Comunista Cinese all’epoca, Deng Xiao Ping, operò una scelta precisa che ha consegnato alla storia futura il destino del suo paese e di quanti vi hanno avuto a che fare negli ultimi 25 anni. Giro di vite repressivo sui diritti civili e politici, in cambio dell’apertura al capitalismo in economia. A giudicare dal boom della Cina come in seguito lo abbiamo conosciuto – e subìto – fu una scelta azzeccata, stando anche al favore incontrato da questa politica presso il popolo del Regno di Mezzo, come essa si definiva prima di diventare ciò che è tutt’ora, la Repubblica Popolare Cinese.

La storia che vogliamo raccontarvi è paradigmatica degli anni ormai trascorsi da Tienanmen. Qualche tempo fa, un New York Times che ancora non si era specializzato nella battaglia mediatica contro governi democratici regolarmente eletti (a cominciare da quello del suo paese guidato da Donald Trump) ma ancora faceva del buon giornalismo, ha ricostruito la biografia di colui che nei giorni della rivolta era a capo dell’Unione degli Studenti dell’Università di Pechino.

Dopo la soppressione della rivolta, le autorità cinesi diramarono la lista dei 21 ribelli maggiormente ricercati, praticamente tutti i leaders delle organizzazioni studentesche, ufficiali e non, che avevano avuto parte nella richiesta di maggiore democrazia sfociata nella mobilitazione degli universitari. Tutti meno lui, Xiao Jianhua, colui che tra gli studenti aveva avuto peraltro in quel momento la leadership preminente.

Lo ritroviamo oggi come uno dei finanzieri più benestanti ed influenti del nuovo corso cinese. Lungi dall’essere stato perseguitato, fu addirittura aiutato economicamente dall’Università di Pechino a farsi una posizione, nel momento in cui il paese intraprendeva la svolta capitalista. L’uomo giusto nel posto e nel momento giusto. Xiao Jianhua venne remunerato adeguatamente per essersi schierato dalla parte del governo nel momento critico, quello in cui cioè esso decise e dette il via alla repressione. Dopo un pallido tentativo di rappresentare le istanze degli studenti, Jianhua fece pubblico dietro-front schierandosi apertamente contro di loro, adducendo il motivo che la rivolta era scappata di mano e che bisognava chiuderla, prima che lo facessero i soldati come poi avvenne.

Xiao Jianhua

Xiao Jianhua cominciò la sua rapida ascesa proprio nei giorni in cui si lavava il sangue dal selciato di Tienanmen, e quando conseguì la laurea per lui era pronto un posto da banchiere di regime, ben introdotto e ben connesso con la nuova classe dirigente del capitalismo rosso. Molto assiduo nei rapporti con la famiglia dell’attuale segretario, Xi Jinping, Jianhua a soli 42 è uno dei miliardari più importanti del paese, e detiene quote praticamente di tutte le industrie di stato più importanti. La sua holding, la Tomorrow Group, controlla almeno 30 finanziarie cinesi e 3 delle principali banche d’affari, spesso in compartecipazione proprio con i familiari di Xi Jinping.

Niente male per un ragazzo di Feicheng, un villaggio molto povero di contadini nella regione montuosa di Shandong, sesto figlio di un umile maestro di scuola che aveva ottenuto attraverso lo studio il lasciapassare per la capitale e l’università. A Pechino, si era distinto anche nella politica oltre che per i brillanti risultati accademici, e si era ritrovato a rappresentare e guidare un movimento che a fine anni ottanta lottava contro la mancanza di libertà e la corruzione del sistema controllato dal partito unico. Chissà se immaginava che di quel sistema e di quella corruzione un giorno sarebbe diventato uno dei principali esponenti.

Con il ritorno di Hong Kong e Macao alla Cina la porta del capitalismo mondiale si è spalancata per l’ex Celeste Impero. La collusione tra élites politiche e mondo degli affari è enormemente aumentata una volta che il comunismo ha rotto gli argini che lo tenevano separato dall’alta finanza. Il potere politico è ancora nella vecchia capitale imperiale, ma la Città Proibita si è spostata ad Hong Kong. Proprio all’Hotel Four Seasons dell’ex colonia britannica, Xiao Jianhua ha eletto il suo quartier generale e da lì controlla le sue sterminate proprietà sparse ormai in tutto il mondo, dagli Stati uniti al Canada all’Europa.

Questa è la storia di un self made man cinese. Sarebbe una storia americana se fosse nata da una rivoluzione, e non dal soffocamento di una rivoluzione. E’ in sintesi la storia di tutti i cinesi che hanno abbracciato la svolta del compagno Deng Xiao Ping e – in grande o in piccolo – si sono buttati sull’economia globale con spirito di conquista degno di Gengis Khan.

Ed è la storia anche un po’ nostra, che 30 anni fa credevamo di vedere finalmente la Cina raggiungerci nel mondo del libero pensiero e dei diritti civili. E invece l’abbiamo vista arrivare, sì, ma con soldi freschi che prima o poi le permetteranno di comprare anche il nostro pensiero ed i nostri diritti.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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