Tennis

To be number one

Yannick Sinner e Novak Djokovic

Siamo un popolo di tennisti, e non ci era mai capitato di essere i numeri uno. Nicola Pietrangeli si era fermato al numero tre, Adriano Panatta al quattro. I numeri sopra erano appannaggio di U.S.A., Australia, Svezia nell’era di Bjorn Borg e Mats Wilander.

Ma in fondo, che ci importava? Il numero 1 era appannaggio di personaggi che macinavano e aravano il tennis dalla mattina alla sera, da gennaio a dicembre. Borg, appunto, poi Lendl, poi Agassi. Tanta regolarità, tanto sudore, poco divertimento. Poco appetibile per i ragazzi nostrani. Ci interessava poco, anche per colpa di generazioni di ragazzi italiani, appunto, che continuavano a giocare a tennis, si, ma senza la voglia di morire sul campo. Almeno, così si diceva.

Sfioravamo gradi imprese, ma alla fine se volevamo ricavare qualche soddisfazione dalla terra rossa, dall’erba, dal veloce, dovevamo aggregarci al tifo per Roger Federer e Rafael Nadal. Con tutto il rispetto, una manifestazione di esterofilia fastidiosa quanto quella che ha travolto la millennial generation nei confronti del nostro calcio a vantaggio di Real Madrid e Barcellona, un revival di con Francia o Spagna, almeno se magna. Roba da disfida di Barletta.

Un bel giorno, dopo gli exploit di Matteo Berrettini, viveur quanto il suo archetipo Panatta ed altrettanto vincente solo nei giorni di estro incondizionato, arriva questo ragazzo dai capelli rossi proveniente da una terra che se la dice con tante cose, dallo sport ad altre imprese di quelle che rendono la vita meritoria di essere vissuta. Il nome è tedesco, la parlata ed i sentimenti sono italiani. Anni fa preferì il tennis agli sport più alpini, ed in perfetto italiano disse che un giorno di questo sport incredibile che come ha detto qualcuno sembra stato inventato dal diavolo avrebbe voluto diventare il numero uno, il più forte, il campione del mondo.

Yannick Sinner e Carlos Alcaraz

Ecco fatto. Succede il 4 giugno dell’anno 2024. Troppo presto? Troppo tardi? Succede adesso, e quello che importa è che è successo, quando ormai pensavamo che il nostro tennis – a partire dagli anni 60-70 e dall’epopea Pietrangeli–Panatta – più su di così non potesse andare. Perché i nostri ragazzi non sanno soffrire.

Sanno soffrire eccome, prima le ragazze e poi i ragazzi. Il giovanottino dai capelli rossi è nello stesso tempo il figlio ed il campione che tutti vorrebbero, dovunque e comunque. Conquista gli chauvinistes francesi ringraziandoli poi correttamente – in francese – del loro tifo corretto in favore dell’enfant du pays da lui battuto. 48 anni fa Panatta fece lo stesso al Roland Garros, ma Sinner ha il dono ulteriore di farlo sembrare normale e consueto, la nostra cifra stilistica. Far pace tra cugini separati alla nascita, francesi e italiani, vale forse più a gioco lungo che vincere un altro slam.

Yannick Sinner diventa number one mentre raccoglie le racchette dopo aver battuto il bulgaro Dimitrov nei quarti di finale. Il suo pensiero principale è quello di ognuno di noi che abbiamo vissuto il tennis come uno stile di vita: quella stretta di mano all’avversario alla fine dei match non si dà per caso, qualunque sia il risultato. E furbetti come il levantino Tsitsipas hanno poca strada davanti, alla fine il sistema, il Circuito, li sospinge ai margini.

Sinner insomma dice quello che pensiamo tutti. Chapeau, Novak Djokovic. Questo giorno di festa non doveva accadere a sue spese. Grande giocatore, che ormai viene insidiato da una natura che non perdona ma che lotta fino all’ultimo dei suoi muscoli e dei suoi neuroni per strappare un giorno di più alla sua carriera leggendaria.

Grande uomo, Nole. Come ha detto il francese Herbert che lo ha subito ma che lo ammira, «la libertà vale più di qualunque titolo sportivo». Djokovic ha sconfitto chi voleva fare del Covid il cavallo di Troia di un mondo molto meno divertente di quello che assiste alle sue partite. Ha rinunciato ad un Grande Slam forse già confezionato in nome della sua e nostra salute e della sua e nostra libertà.

Nole è stato fermato da un ginocchio che sente in modo particolare i suoi 38 anni. La finale di questo Roland Garros, con tutto il rispetto per campioni come Alexander Zverev e Alex De Minaur, è Carlos Alcaraz – Yannick Sinner, che si giocherà venerdi prossimo.

C’é molto di più in palio del numero 1 e dello stesso titolo slam che si assegna sul campo intitolato a Philippe Chatrier domenica sera (a proposito, ci sono voluti 50 anni per capire che quando il sole tramonta si gioca meglio, chapeau….).

C’é la next generation del nostro beneamato sport. Alcaraz – Sinner sarà il Borg – Connors di questo scorcio di ventunesimo secolo. Uno scontro tra cavalieri in giostra che non finirà mai, finché la natura imporrà l’alt anche a questi apparentemente invincibili ragazzi di adesso.

«Il tennis è un gioco mentale. E’ congeniale a chiunque. Ognuno ha un gran rovescio e un gran dritto» (Novak Djokovic)

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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