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Trieste, sangue italiano, cuore asburgico

Mappa di Trieste a cura del Lloyd Triestino, risalente al 1857

Abbiamo fatto quattro guerre di indipendenza, di cui una mondiale (la Prima) per ricongiungerla ad una patria di cui a stretto rigore giuridicamente non aveva mai fatto parte. Trieste ha ringraziato, sul molo che poi sarebbe stato battezzato Audace ad accogliere i bersaglieri sbarcati dall’omonimo incrociatore il 3 novembre 1918 c’era mezza città festante. Dopo aver sofferto le conseguenze della sciagurata Seconda Guerra Mondiale, ha ringraziato di nuovo. Il 26 ottobre 1954, sempre sul molo Audace a festeggiare di nuovo i bersaglieri tornati a riprendere la città a nome dell’Italia dopo la fine del regime di occupazione militare alleata, c’era sempre mezza città, e solo perché tutta non ci stava.

Trieste, Piazza dell'Unità d'Italia, 26 ottobre 1954

Trieste, Piazza dell’Unità d’Italia, 26 ottobre 1954

Trieste è italiana, e lo ha certificato con il proprio sangue. Eppure non era infrequente – e non lo è ancor oggi – trovare qua e là in città testimonianze dell’affetto solo all’apparenza incredibile tributato al passato, quell’Austria – Ungheria che è stata per circa un secolo un nemico mortale dell’Unità d’Italia, e quindi anche di Trieste italiana. Ma che tuttavia si è in qualche modo guadagnata sentimenti di riconoscenza da parte di una popolazione che non può e non vuole dimenticare quella che è stata l’epoca d’oro della sua storia cittadina.

Al fine di stabilire a quale dei bozzetti presentati al Comune da giovani scultori locali attribuire l’onore di tramandare l’effigie della grande imperatrice Maria Teresa d’Asburgo, molti triestini si sono messi in fila per andare ad esprimere il proprio voto nel più singolare dei referendum consultivi. In molte botteghe del capoluogo giuliano si trovavano in bella mostra fino a poco tempo fa ritratti di Francesco Giuseppe, l’ultimo imperatore asburgico. L’uomo che fece impiccare Cesare Battisti e Nazario Sauro, l’uomo che odiava le nazionalità compresa quella italiana, e che gettò il mondo nella follia dell’inutile strage pur di non rassegnarsi a vedere ammainare l’anacronistica aquila imperiale. L’uomo che i triestini tuttavia ancora chiamano affettuosamente Cecco Beppe, testimonial di un passato che spaccò in due una città, divisa tra il sentimento nazionale e la riconoscenza verso chi l’aveva fatta grande. La nuova regina dell’Adriatico.

Il landscape triestino come si presenta oggi

Il landscape triestino come si presenta oggi con il Porto Nuovo

L’affetto con cui i fiorentini ricordano Canapone, l’ultimo Granduca Asburgo Lorena, impallidisce a confronto del viva l’A e po’ bon – viva l’Austria e va bene così – con cui i triestini testimoniano tutt’ora il loro essere diversamente italiani. Mentre il mito borbonico nelle ex Due Sicilie ha ragioni diverse, di rivolta contro uno stato che spesso in quelle terre non ha saputo essere migliore di quello di Franceschiello.

La statua di Carlo VI d'Asburgo a Piazza dell'Unità d'Italia

La statua di Carlo VI d’Asburgo a Piazza dell’Unità d’Italia

No, a Trieste è una questione non di testa ma di cuore, è la differenza tra l’affetto per la famiglia e quello per la nazione. La ragione di questa dicotomia unica nel panorama nazionale è probabilmente tutta nella ricorrenza del Porto Vecchio. Era il 18 marzo del 1719 quando Carlo VI d’Asburgo imperatore del Sacro Romano Impero ebbe l’intuizione che si sarebbe dimostrata un colpo di genio della realpolitik imperiale e avrebbe cambiato radicalmente il destino di Trieste, facendone la nuova signora del Mare Nostrum, il Mediterraneo.

Trieste era un possedimento austriaco dal 1382, da quella Dedizione con cui si sottrasse allo scomodo vicinato con la potente Serenissima Repubblica di Venezia mettendosi sotto la protezione di una famiglia nobile emergente che cercava giustappunto uno sbocco al mare e poi un posto al sole tra le case regnanti europee. Il Duca d’Austria fu ben felice di questo regalo di sé che gli fecero i triestini, ma fu un suo successore di oltre tre secoli dopo a intuirne appieno le potenzialità. L’Impero aveva bisogno di un porto internazionale per diventare una potenza marittima e commerciale, e nello stesso tempo per indebolire quella Venezia che unica tra le realtà statali dell’Italia divisa e soggiogata manteneva ancora la propria indipendenza di fatto e non solo di nome rispetto agli Asburgo.

Con la concessione dello statuto di porto franco – la possibilità di scaricare le merci sulla banchina triestina senza pagare dazi o tasse di sorta – Carlo VI ottenne di avviare l’inesorabile declino di Venezia e di fare del suo porto in breve tempo il più importante tra Gibilterra, Istanbul e poi in seguito anche Suez. La figlia dell’Imperatore Carlo, Maria Teresa, avrebbe sviluppato l’intuizione paterna costruendo il proprio vero monumento, quello che oggi si chiama il Porto Vecchio, una vera e propria città nella città, che per tutto il periodo della massima potenza asburgica (fino cioé alla Grande Guerra ed all’annessione all’Italia) fece di Trieste la New York dell’Adriatico e del Mediterraneo. Il resto lo fece il Lloyd Triestino, o Lloyd Adriatico, la prima compagnia di assicurazioni marittime e commerciali sorta sul territorio italiano sul modello di quella inglese, i Lloyds di Londra.

L'antico palazzo del Lloyd Triestino, oggi sede della Presidenza della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia

L’antico palazzo del Lloyd Triestino, oggi sede della Presidenza della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia

Il Porto Vecchio è purtroppo una città morta da tempo, anche se Trieste sta cercando con ogni mezzo di riportarla in vita, restituendo un senso a quei vecchi magazzini dei quali finora soltanto il numero 18 ha mantenuto la memoria, per i tragici e ben noti motivi dell’Esodo Istriano. Della grandeur dei tempi di Maria Teresa e Francesco Giuseppe rimangono solo alcune testimonianze monumentali, statue, effigi ed alcuni angoli dedicati della città. Lo status di porto franco tuttavia è rimasto, riconosciuto e perpetuato anche dal Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 con il quale l’Italia pagò i conti in sospeso con gli Alleati per la sua sciagurata avventura nella Seconda Guerra Mondiale.

Il Porto Vecchio di Maria Teresa

Il Porto Vecchio di Maria Teresa

A tutt’oggi, Trieste è il primo porto commerciale italiano, con 62 milioni di tonnellate annue che lasciano indietro Genova come seconda per distacco, ferma a 55 milioni di tonnellate. Che vada in porto il megaprogetto della Via della Seta o meno, Marco Polo verosimilmente non partirà più da Venezia per aprire le sue rotte commerciali ma piuttosto dal porto dirimpettaio di quella Tergeste che per sopravvivere più di seicento anni fa, il 9 agosto del 1382, fu costretta a sottomettersi a quegli strani signorotti di montagna che parlavano tedesco e di mare non capivano nulla.

Impararono però in fretta, e a Trieste li ricordano con affetto imperituro soprattutto per questo.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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