Ombre Rosse

Tutti i nostri domani

Parla Londra. Trasmissione destinata alle forze combattenti nelle zone occupate.

Alcuni messaggi in codice:

L’uomo è, sopra tutto, un animale accomodativo. Non c’è turpitudine o dolore a cui non s’adatti.

(Gabriele D’Annunzio)

Al conformismo l’ironia fa più paura d’ogni argomentato ragionamento.

(Indro Montanelli)

Questo paese non può continuare a essere la copia fessa della tv, la sua appendice e la sua scimmia.

(Marcello Veneziani)

(*) il titolo di questo articolo è preso a prestito dal libro di fantapolitica All our tomorrows, di Ted Albeury, GB 1982)

 

Non so se abbia ragione quella corrente di pensiero che fa capo agli intellettuali di destra, da Montanelli a Veneziani, che sostiene che il nostro carattere distintivo nazionale, quello che determina le nostre scelte come nazione e la nostra storia come paese, è in sostanza la vigliaccheria.

Il giudizio è duro, e a prima vista andrebbe temperato con dei distinguo. Il popolo italiano in passato ha dato il meglio di sé quando si è ritrovato con le spalle al muro. La prima guerra mondiale e la ricostruzione dopo il disastro della seconda sono state epopee. Se gli italiani non fossero stati davvero brava gente, non ce l’avrebbero fatta.

Il fatto è che bisogna sempre ritrovarsi con le spalle al muro per arrivare a dare quel benedetto meglio di sé, e comunque si è parlato finora di generazioni che francamente sembravano fatte di un’altra pasta, meno annacquata dal benessere e dall’illusione che ormai la vita reale si svolga all’interno di questo matrix costituito dai social networks.

L’ultima generazione, i cinquanta-sessantenni che comandano adesso, è nata in mezzo a slogan secondo cui tutto si sarebbe risolto mandando al potere la fantasia (e dimenticando tutte le altre qualità che avevano tenuto in piedi le generazioni precedenti, percepite ormai come vetuste, fuori dalla storia futura). E’ successo che al potere c’è andato di tutto, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Coraggiosi non siamo mai stati, se non a cose fatte. Adesso siamo anche prede di quel rompete le righe morale seguito al Sessantotto. Prima o poi era fatale che arrivasse la spallata, e che noi fossimo i primi a ritrovarci in terra, e a non sapere come rialzarci.

Questa pandemia, con buona pace dei virologi e di chi li segue in televisione alternandoli con il festival di Sanremo, è prima di tutto un tentativo di premere il tasto reset per l’economia e per la politica mondiali, determinando un cambiamento radicale del nostro tenore e della nostra filosofia di vita. L’Unione Europea è una mummia che ingessa il vecchio continente per evitarne la decomposizione e governarne il neanche tanto sereno trapasso verso altre forme di vita. Il virus è arrivato al tempo giusto, quando le contraddizioni della UE e del sistema che l’aveva voluta e imposta rischiavano di deflagrare.

Ma l’Europa istituzionale è fatta di 28 modi di essere diversi. Uno se n’è chiamato fuori, il Regno Unito, e a quanto pare l’ha indovinata anche stavolta. La Brexit pare favorire la ripresa (epidemiologica ed economica) delle Isole Britanniche così come avviene per gli altri quattro continenti. Degli altri ne sapremo di più al termine della tornata elettorale che coinvolgerà metà del nostro continente (all’estero si può votare, a differenza che in Italia non è ritenuto un pericolo né sanitario né d’altro tipo). Francia e Germania cercano di ripetere all’infinito lo schema che da sessant’anni assicura loro la leadership europea, il nord Europa se la cava secondo l’indole connaturata a popolazioni che in passato hanno reso la vita dura a ben altre forme di oppressione e di imperialismo, il sud se la cava come sempre: sbagliando e mai imparando. Spagna e Italia si contendono la palma d’oro dei casinisti e delle cicale incapaci di prevedere e di organizzare. L’Italia alla fine reagisce come ha fatto spesso, impaurendosi dopo e correndo a omaggiare l’uomo forte di turno, incaricato dal Re d’Italia di turno.

Per far fronte ad una paura smodata – giustificata da pesti del passato come quella del Boccaccio e l’altra del Manzoni, un po’ meno decisamente dai dati reali di una pandemia che non è più pericolosa né letale delle influenze delle ultime stagioni – siamo disposti a sacrificare tutto. Dalla democrazia (che si dimostra quello che sospettavamo, un sottile strato di vernice applicato nel 1945 dai vincitori angloamericani ad un popolo che non è mai stato né liberale, né democratico, né tollerante) al buon senso (che dovrebbe impedirci di tirare su la manica ridendo come oche giulive mentre medici strapagati brandiscono davanti alla nostra faccia aghi da cui scaturisce una non meglio precisata sostanza che qualcuno chiama vaccino).

Siamo pronti soprattutto a riversare la nostra intolleranza ed il furore che è conseguenza proprio della nostra vigliaccheria su chi non la pensa come noi. E a tollerare soprattutto che altrettanto se non di peggio facciano le nostre autorità. Il governatore della Sardegna Christian Solinas ha dichiarato in questi giorni che dopo la vaccinazione di massa dei residenti, nell’isola non entrerà più nessuno che non abbia il patentino attestante analoga vaccinazione. Questo signore dimostra una cultura giuridica e amministrativa sicuramente inferiore a quella di una qualunque pecora di Supramonte, aprendo bocca in spregio alla Costituzione, alle leggi e perfino ai DPCM con cui gli ultimi governi repubblicani ci hanno intrattenuti mentre eravamo costretti in casa. Per molto meno, in America mandano la Guardia Nazionale ed il Governatore dalla bocca larga finisce nella procedura di impeachment. Il Solinas in questione, eletto peraltro a seguito delle ultime libere elezioni, ha ricevuto invece decisamente ben poche critiche, a cominciare proprio da una popolazione – quella da lui governata – la cui economia di sussistenza è interamente o quasi basata sul turismo.

Ci sembra accettabile tutto, ormai, perché la paura ha fatto novanta. Lo 0,06% con cui il Coronavirus minaccia le nostre esistenze di gente non più abituata a sopportare nemmeno il fastidio di una pellicina di unghia mal tagliata è il dato sufficiente a spiegare tutto e ad aggiornare qualsiasi analisi politologica e sociologica sul Belpaese.

Ci salverà, forse, dalla instaurazione di uno stato di polizia la nostra altra naturale propensione: quella al casinismo più sgangherato ed all’opportunismo più irrinunciabile in quanto condizioni cartesiane dell’essere, del nostro essere. Ma la storia si muove tuttavia secondo correnti più profonde di quelle che siamo capaci di agitare noi con le nostre barchette nel nostro laghetto nazionale.

La generazione che comanda adesso crede di essere immortale come tutte quelle che l’hanno preceduta. Crede di potersi permettere di lasciare che i vecchi si spengano consumandosi lentamente in quei lager che abbiamo allestito loro sotto l’acronimo RSA, tenendoli ormai in vita soltanto quanto basta a giustificare e foraggiare le prebende del sistema sanitario ed i redditi familiari a cui quello di cittadinanza non assicura la sufficienza.

Con i vecchi ce la farà, per forza di cose. Con i giovani il discorso sarà diverso, sempre per forza di cose. La generazione che comanda adesso crede infatti di allevare la generazione successiva come si fa con i polli di allevamento non biologico, stipati tutti – bambini e ragazzi di età varia – in stie striminzite e soffocanti come le quattro mura di casa, invalicabili come Colonne d’Ercole. Questi bambini e ragazzi già danno segno di disturbo abbastanza serio. Disturbo che poi in genere confluisce nel disagio grave, nella spostatura, in attesa dell’inevitabile botto finale.

Non c’è stato un secolo della nostra storia in cui il disagio giovanile non abbia alimentato gli eserciti e i movimenti che alla fine hanno cercato di far saltare banchi sempre più insopportabili con il ferro e con il fuoco. E’ assurdo pensare che possa fare eccezione questo ventunesimo, che prima o poi vedrà i giovani accorrere a indossare nuove camicie rosse o nere abbandonando istituzioni e parentele ormai vissute come intollerabili.

Se i giovani non hanno futuro, e non ce l’hanno con Draghi come non ce l’avevano con Conte e non l’avrebbero avuto con nessuno degli esponenti della nostra classe politica così inadatta a governare qualsiasi cosa e così voluta in questo modo da una cittadinanza che più che tutto non voleva essere governata, niente ha più futuro. E’ solo questione di tempo, per stabilire che data avrà il prossimo Armageddon.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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