Uno dei loro ultimi lavori, non a caso un lavoro congiunto, era stato quel Pinocchio mal visto dal Gatto e dalla Volpe che adesso andrà a ruba. Un divertissement teatrale, è stato definito, e a ragione. La vita, la stessa cultura che l’ha resa degna di essere vissuta, per loro sono state un grande, ininterrotto divertissement. Un divertimento dell’ingegno. Un futuro e continuo rimpianto per noi orfani, rimasti a rigirarci tra le mani tanti libri e libretti di assai minore contenuto prima di decidere di non farne di nulla, lasciarli sugli scaffali, andare a casa e riprendere in mano piuttosto uno dei loro…..
Avevano cominciato insieme Ugo Gregoretti e Andrea Camilleri. Comunisti dichiarati nella RAI democristiana e nell’Italia della Guerra Fredda, ci avevano messo un bel po’ prima di vedersi riconosciuto il premio e la qualifica del loro talento. Sceneggiatori di successo a teatro e in TV, avevano ad un certo punto trovato la strada per brillare di luce propria, complice la liberalizzazione dell’etere e della cultura sopraggiunta con gli anni settanta.
Gregoretti aveva anche subito nel frattempo la punizione scolastica in vigore all’epoca. Accusato di flop con il Circolo Pickwick, sceneggiato del 1968 che a rivederlo oggi mette in fuorigioco tutto ciò che è stato fatto dopo in materia di fiction ma che allora fu giudicato inadatto alla RAI che educava gli italiani, sì, ma pretendendo di farlo ancora nel solco della Controriforma, Gregoretti era stato messo in castigo dietro la lavagna e con il cappello da somaro, ad occuparsi di trasmissioni minori, di nicchia. Ne uscì fuori quel gioiellino che fu Le tigri di Mompracem – Una serata con Emilio Salgari. Era il 1974, ed il regista ci regalò una rilettura del masterpiece salgariano e del clima e dei tempi in cui era stato scritto che sfido qualunque intellettuale del presente anche soltanto ad avvicinare.
Lo ricordo poi regalare uno spazio di meritata celebrità all’amico Corso Salani, che non avrebbe fatto in tempo a farne tesoro appieno per una di quelle beffe assurde che fa la vita, ma al quale Gregoretti affidò con geniale intuizione la parte di un surreale e divertentissimo Edmond Dantes nella rivisitazione in chiave moderna e satirica del Conte di Montecristo. Che sotto la sua penna era diventato il Conto Montecristo, ogni riferimento a quanto stava succedendo in questa nostra disgraziata Italia all’epoca era più che voluto, dovuto.
Il destino li ha chiamati insieme, nove anni dopo l’amico Corso. Per i due comunisti dal volto umano e dalla grande cultura è venuto il momento di andare a vedere se Marx aveva ragione, se davvero dopo non c’è più nulla, e per quanto bella e ricca possa essere stata la vita viene il momento dei titoli di coda e finisce tutto lì. Oppure se al contrario il buon Dio sa riconoscere i suoi figli prediletti anche tra coloro che apparentemente non si sarebbero dichiarati tali, e con un affetto pari a quello dei loro affezionati lettori rimasti in questa valle di lacrime li sta chiamando a sé, per deliziarsi Lui per primo dei prossimi loro lavori, pardon, divertissement, composti lassù d’ora in poi su quella nuvola da Lui appositamente messa loro a disposizione.
Sembrava avviatosi prima Andrea, Ugo gli è passato avanti e da stasera lo attende su quella nuvola, dove il Gatto e la Volpe ne hanno ancora tante da dire.
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