Cultura e Arte

Umberto Saba, italiano di Trieste

Umberto Saba (Trieste, 9 marzo 1883 – Gorizia, 25 agosto 1957)

Umberto Saba (Trieste, 9 marzo 1883 – Gorizia, 25 agosto 1957)

Uno dei più grandi poeti italiani di tutti i tempi, il primo ad aver traghettato la poesia italiana nel Novecento, rendendola essenziale, miracolosamente scevra di retorica (era contemporaneo di Gabriele D’Annunzio e del Futurismo), attenta ad una quotidianità che è il contrario dell’epica o forse è un’epica essa stessa per quanto sui generis, aperta per la prima volta ad una sorta di psicoanalisi, di autocoscienza che lo hanno reso effettivamente il primo dei nostri poeti moderni.

Umberto Saba si chiamava in realtà Umberto Poli, ed era nato a Trieste il 9 marzo 1883, quando il capoluogo giuliano era ancora la gemma indiscussa e forse più brillante della corona austro-ungarica. Senza Trieste non si capisce Saba, senza Saba non si capisce Trieste. Il padre era di famiglia veneziana, la madre ebrea triestina. Per rendere possibili le nozze, secondo l’uso giudaico, fu il padre a doversi convertire all’ebraismo.

Lo pseudonimo Saba fu scelto dal poeta in età adulta, in omaggio a questa sua componente ebraica. Per alcuni, Saba significa nonno, in omaggio a quello materno Samuel David Luzzatto, prestigioso intellettuale dell’Ottocento. C’è chi sostiene, più prosaicamente, che Sabaz fosse in realtà la balia slovena del piccolo Umberto, Gioseffa Gabrovich Schobar, detta Peppa e conosciuta anche come Peppa Sabaz. Secondo altri ancora, la parola saba in ebraico ha anche il significato di pane, e ciò alluderebbe alla quotidianità della poesia.

UmbertoSaba200309-002Il giovane Umberto crebbe negli anni del crepuscolo dorato dell’Impero Austro-Ungarico e nella splendida malinconia accompagnata da un crescente disagio esistenziale di una città che pur rimanendo un crocevia culturale con pochi eguali viveva la profonda lacerazione della coscienza collettiva determinata dalla consapevolezza di avere un presente imperiale glorioso e un destino italiano ineluttabile, anche se fatalmente più incerto. Collaborò con la prestigiosa Voce fiorentina, la rivista d’avanguardia edita da Papini e Prezzolini, sulle cui pagine tra l’altro ebbe modo di incontrarsi/scontrarsi con un altro grande triestino, Scipio Slataper.

Umberto Saba era irredentista, e visse la Prima Guerra Mondiale da soldato del Regio Esercito. Tra le due guerre, nella sua città restituita all’Italia compose la sua opera immortale raccolta nel Canzoniere. Si avvicinò alla psicoanalisi, esercitata nel capoluogo giuliano da un allievo di Freud, Edoardo Weiss (lo stesso che aveva in cura Italo Svevo), per far fronte alle sue ricorrenti crisi nervose e depressive, che tanta parte hanno nella sua poetica assieme alle cause, principalmente di natura familiare.

Fu anche il periodo in cui rilevò la celebre Libreria Antiquaria Maylander, ribattezzata da lui in Libreria Antica e Moderna e sopravvissutagli a tutt’oggi come Libreria Antiquaria Umberto Saba, in Via San Nicolò nel centro di Trieste.

La targa commemorativa della Libreria a Via San Nicolò

La targa commemorativa della Libreria a Via San Nicolò

Come ebreo, visse la Seconda Guerra Mondiale da profugo e da fuggiasco, che tuttavia non volle allontanarsi dall’Italia e da Trieste se non per sporadici periodi, sentendo di dover condividere la tragedia nazionale con i suoi concittadini. Nel difficile secondo dopoguerra, Saba era ormai un poeta laureato, affermato, che mieteva riconoscimenti ufficiali e titoli.

Fece a tempo a rivedere tornare per la seconda volta la sua Trieste all’Italia, nel 1954, e poi subito dopo a riavvicinarsi alla religione cattolica, facendosi battezzare. Prostrato per le condizioni di salute proprie e per quelle della moglie Carolina (la Lina delle sue poesie, con la quale aveva avuto un tormentato ultra-quarantennale rapporto, complicato probabilmente anche da una sua latente omosessualità che traspare anche da numerose sue opere), Umberto Saba trascorse i suoi ultimi giorni di vita in una clinica di Gorizia dove si spense il 25 agosto 1957.

La statua di Umberto Saba a Via Dante a Trieste

La statua di Umberto Saba a Via Dante

Di Umberto Saba resta al suo paese il Canzoniere e la sua poesia quotidiana e moderna (fu probabilmente il primo intellettuale di rango, tra l’altro, a nobilitare il popolare gioco del calcio, celebre la sua poesia Goal: il portiere caduto alla difesa ultima vana, contro terra cela la faccia, a non veder l’amara luce). A Trieste resta quella statua suggestiva in Via Dante, il poeta che passeggia per le strade che amava come ciascuno di noi, come faceva in vita, come quell’altro suo contemporaneo di pari successo, quel James Joyce che attraversa a poca distanza da lui il Canal Grande, altra statua venerata dai triestini. Resta la Libreria, che pur tardivamente il Ministero dei Beni Culturali ha riconosciuto come cosa propria, salvandola da morte certa con adeguati finanziamenti e restauri.

Resta soprattutto la poesia, che pervade l’aria della Venezia Giulia e che nessuna bora, per quanto potente, può spazzare via dal cielo di Trieste. Per le strade che lui percorreva e che poi cantava, i suoi versi si sentono ancora, e si sentiranno sempre. Pervasi di quella sua malinconia, che è quella di una città che ne ha viste troppe, e troppe sa di doverne ancora vedere, orgogliosa del suo passato e timorosa del suo futuro.

Resta la sua Epigrafe, che si scrisse da solo: «Parlavo vivo a un popolo di morti./Morto, alloro rifiuto e chiedo oblio.»

Non ci può essere oblio per Umberto Saba, né per tutto ciò che la sua poesia ha reso immortale.

MiramareTrieste200309-001

Barcolana 2017: Spirit of Porto Piccolo, la vincitrice, incrocia davanti a Miramare

Trieste

(Umberto Saba)

Ho attraversato tutta la città.

Poi ho salita un’erta,

popolosa in principio, in là deserta,

chiusa da un muricciolo:

un cantuccio in cui solo

siedo; e mi pare che dove esso termina

termini la città.

Trieste ha una scontrosa

grazia. Se piace,

è come un ragazzaccio aspro e vorace,

con gli occhi azzurri e mani troppo grandi

per regalare un fiore;

come un amore

con gelosia.

Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via

scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,

o alla collina cui, sulla sassosa

cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.

Intorno

circola ad ogni cosa

un’aria strana, un’aria tormentosa,

l’aria natia.

La mia città che in ogni parte è viva,

ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita

pensosa e schiva.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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