Un anno fa, questi erano i giorni in cui si avverava il sogno dell’Onorevole Angelina (*). La ragazza uscita di borgata con le sue sole forze, la donna all’apparenza troppo fragile per farcela in un mondo tradizionalmente di uomini, Giorgia Meloni incassava un voto popolare più simile ad un plebiscito e cominciava ad aspettare che dal Colle, obtorto collo, arrivasse la chiamata. L’incarico a formare il nuovo governo secondo il responso delle urne, stavolta inequivocabile (non lo è mai, ma i numeri per una volta erano tali da non consentire valutazioni presidenziali e mandati esplorativi).
Messi tutti in fila, avversari a lungo avversati (da lei sola, l’unica, che era rimasta fuori da un governo Draghi di cui adesso tutti giurano di non aver mai saputo neanche l’esistenza, rinnegandolo come Pietro con Cristo) e soprattutto alleati (con Salvini ridimensionato dalla sua stessa troppa fretta di ridiventare ministro e Berlusconi a spendere gli ultimi mesi di vita tra il San Raffaele ed Arcore), la segretaria di Fratelli d’Italia scalpitava per portare al Colle un governo che lei aveva già in testa, insieme al suo programma.
Programma che poi era quello elettorale, e di cui in principio rivendicava giustamente la coerenza. Meno Europa, più sovranità, stop all’immigrazione incontrollata, riforma dell’ingiusto regime delle pensioni, riduzione delle tasse esorbitanti, via le accise dalla benzina, prezzi sotto controllo, riforma della scuola e della sanità ormai indegne di un paese del G8, riforma della magistratura, riforma di tutto quello che non funziona in questo paese. Insomma, tutto quello che abbiamo sempre desiderato e non osiamo più neanche sognare al terzo sonno.
Un anno dopo, a parte una riforma del codice della strada su cui ci sarebbe da discutere (certi eccessi sanzionatori in mano ad amministrazioni e polizie locali che come molti cittadini hanno potuto sperimentare si avvalgono di una tecnologia un po’ troppo infinitesimale applicata peraltro con pochi scrupoli, una frazione di secondo all’autovelox ed al semaforo costano fior di punti sulla patente, quando non la sospensione), Angelina ha portato finora a casa poco o nulla. Questa è la verità.
L’Europa è sempre li che vuole qualcosa. Da quando poi ci finanzia il PNRR non ammette repliche, se mai le ha ammesse. Il debito pubblico italiano nel quinquennio di centrodestra è destinato fatalmente a salire, non scendere. In campagna elettorale, a torto o a ragione, era stato detto altro.
La sovranità ci si può scordare, fedeli ad un alleato atlantico che ha messo nella sua più alta carica un anziano signore dalla senilità avanzatissima e non sa più bene nemmeno lui che politica estera attuare (se mai l’ha saputo), se non quella che provoca presto il disfacimento di un’Europa strozzata dall’economia mal governata e dalle sanzioni inflitte a chi le dovrebbe fornire l’approvvigionamento energetico. Niente Russia, niente Cina, e come al solito in prima fila a prendere il ceffone diretto a Zelensky ci siamo noi.
Le accise non si toccano, la signora ha scoperto quello che è noto dai tempi di Andreotti, ci si paga nientemeno che la pubblica amministrazione. Non si toccano nemmeno i prezzi, nel senso che ognuno li ricarica come gli pare e nessuno li controlla più. I tempi del glorioso CIP (Comitato Interministeriale Prezzi) sembrano come le commedie all’italiana degli anni settanta, datate e scollacciate, ma dopo è stato girato di peggio.
Le tasse restano quelle, fatte salve genialate alla Renzi (sempre il numero 80, sempre a ridosso della soglia dell’indigenza, chi è povero lo rimane ma chi c’è vicino adesso può sempre diventarlo del tutto, levandosi la soddisfazione di un qualche ridicolo bonus. A proposito di Bonus, quello del 110 non si sa che fine farà, intanto chi ha avuto, ha avuto. Chi ha dato ha dato, inoltre, e glielo hanno levato in busta paga, non lo ha visto nemmeno.
Quanto alle riforme, la scuola è il disastro che ormai conosciamo da generazioni. Strutture senza carta igienica, figurarsi i fogli a protocollo; bambini che tornano a casa con quaderni dove la maestra ha fatto ricopiare parole come ADDIZZIONE E DISPERZIONE. La sanità insegue da vicino, ormai prossima a Caporetto. I debiti fatti per pagare gli avventurosi vaccini anti-Covid (che stanno dimostrando tutta la loro inutilità in questa presunta recrudescenza della ex pandemia, con temperature corporee che possono arrivare fino ai 38°!!! e allettamento di chi a stare in piedi non c’é più abituato) li pagheranno le prossime generazioni, quelle del DNA modificato dai geni Weissman e Karikò. Speriamo sia modificato soprattutto in longevità, perché le non comode rate promettono di essere tante e prolungate nel tempo.
Sulla giustizia si è espresso – e ha detto tutto – quel giudice che ieri ha rimandato libero l’extracomunitario con decreto di espulsione già adottato. Il magistrato si è sentito in diritto – dovere di dichiarare la Tunisia “paese non sicuro”. E’ una riforma costituzionale di non poco conto, da adesso in poi la politica estera non la fa più il governo ma il Consiglio Superiore della Magistratura. Il governo Meloni incassa, la magistratura ha già incassato l’anno scorso, quando il popolo italiano interpellato sull’ultima riforma proposta non andò nemmeno a votare. In Italia non sai mai se è il popolo ad avere il governo che si merita, o viceversa.
Ma insomma, ci si avvicina ai giorni della legge di stabilità, e tutto ritorna in discussione? Chissà. Ci sarebbe tempo e modo di rivedere tante omissioni e di rilanciare quel programma elettorale che un anno fa spinse la gente a votare per l’Onorevole Angelina. La quale invece ha già fatto sapere che con i chiari di luna attuali non c’é da spostare ne un uomo né un soldo. La destra qui sa cosa fa la sinistra. Anzi, cosa ha fatto. Ma di fare di meglio non se ne parla, e allora la prossima volta vedrai che si ricambia, Angelina ritorna in borgata, la gente, sempre più scoraggiata, voterà per qualche altro arruffapopolo del momento. Oppure a votare non ci andrà più. E della prima presidenza del consiglio femminile della storia d’Italia nessuno si ricorderà più.
(*) film del 1947, diretto da Luigi Zampa con Anna Magnani protagonista, che narra la vicenda di una donna del popolo che da una borgata romana riesce ad arrivare al centro della politica, per poi scontrarsi con i “poteri forti”
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