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Un burattino di nome Pinocchio

Andrea Balestri e Nino Manfredi

(Nella foto, Andrea Balestri Pinocchio e Nino Manfredi Geppetto)

Diciamoci la verità, abbiamo odiato cordialmente tutti i testi classici che ci hanno fatto leggere e studiare a scuola, dai Promessi Sposi ai poemi epici come l’Iliade e l’Odissea. Salvo poi riscoprirli da grandi, e perdercisi dentro, come nei romanzi di Salgari o di Jules Verne.

Ma ce n’era uno con cui era amore a prima vista, da sempre. Classe dopo classe, generazione dopo generazione, non c’era un bambino che non si immedesimasse in quel burattino di legno che Mastro Geppetto intaglia dal ciocco regalatogli da Mastro Ciliegia, e nelle sue avventure tragicomiche che a ben vedere ricalcavano la quotidianità della nostra infanzia, spesso e volentieri trascorsa dentro e fuori da un benedetto/maledetto controllo sociale esercitato da famiglia e – appunto – società come adesso forse non è neanche più immaginabile.

«Quelli come te finiscono in galera o all’ospedale!». Ci affascinava e nello stesso tempo ci incuteva un sacro timore quell’ammonimento ricorrente. E malgrado ci chiedessimo cosa avesse fatto di male in fondo il povero burattino per meritarselo, insieme a tutte le sue peripezie, come lui tornavamo a casa ogni giorno convinti che qualcosa di male avevamo sicuramente combinato, e il castigo era lì ad aspettarci.

Era una vecchia storia, che aveva attraversato le generazioni a partire dall’Unità d’Italia, e che al tempo nostro – della scuola dell’obbligo da poco estesa al ciclo delle scuole medie inferiori – manteneva tutto il suo fascino e la sua efficacia in termini di favola educativa, di operetta morale.

Carlo Lorenzini

Il suo autore, Carlo Lorenzini, era stato una bella figura di fiorentino del popolo elevatosi a letterato e figura culturale di spicco. Nato a Firenze il 24 novembre 1826 da una famiglia di modesti cittadini del Granducato che si dividevano tra il servizio della famiglia dei marchesi Ginori e quella dei marchesi Garzoni Venturi, proprietari della tenuta di Collodi il cui nome un giorno il piccolo Carlo avrebbe preso a prestito come pseudonimo letterario, grazie alla generosità di quei nobili aveva potuto studiare frequentando la prestigiosa scuola dei Padri Scolopi.

Il sentimento patriottico ce l’aveva innato. Era stato un volontario toscano a Curtatone e Montanara, nella prima guerra di indipendenza. Ciò gli era valso una vita difficile nel restaurato Granducato di Canapone, Leopoldo II di Lorena, che era destinato ad essere l’ultimo della sua casata, prima del Plebiscito nazionale. Nella seconda guerra, nel 1859, si ripresentò alle armi nel Reggimento Cavalleggeri di Novara, alle dipendenze dei Savoia che stavano unificando l’Italia.

Gina Lollobrigida e Nino Manfredi nello sceneggiato di Comencini

A quel tempo, si era già fatto un certo nome come autore di racconti filosofico-umoristici e come giornalista. Quando nel 1860 il Ministero della Pubblica Istruzione del neonato Regno d’Italia gli commissionò il Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, non fu dunque soltanto per meriti combattentistici.

Carlo Lorenzini era un affermato autore di storie per l’infanzia quando nel luglio del 1881 il Giornale per i Bambini dell’illustre letterato Fernandino Martini cominciò a pubblicare a puntate il suo nuovo racconto: Storia di un Burattino. Il successo fu immediato, anche se ben presto il titolo fu modificato. Il capolavoro di Carlo Lorenzini in arte Collodi fu consegnato all’immortalità con il titolo Le avventure di Pinocchio.

La bottega di Mastro Geppetto

Com’è stato lo sapete, recitava la canzone che faceva da sigla allo sceneggiato che quasi un secolo dopo, nel 1972, Luigi Comencini avrebbe tratto per la televisione da quel libro, dando finalmente un volto – quello quantomai azzeccato di Andrea Balestri – all’eroe preferito da tutti i bambini. Ed il volto del mai abbastanza compianto Nino Manfredi al suo babbino, Mastro Geppetto. E’ la storia di Pinocchio, naso lungo e capo tondo, che va in giro per il mondo.

L’intento moralistico del Lorenzini – Collodi figlio dei suoi tempi era quello di intimorire i bambini futuri adulti circa i pericoli di una condotta che non fosse ossequiosa delle regole ferree poste dalla famiglia e dalla società di appartenenza, quella difficile dei primi anni del Regno per cui lui aveva combattuto. Tra miseria e ignoranza, tra malattia e brigantaggio, i sudditi d’Italia che abbandonavano – magari fin da ragazzi – la via maestra, finivano appunto in galera o all’ospedale. Dato l’avanzamento della scienza medica del tempo, l’accostamento evidentemente non doveva sorprendere.

Il gatto e la Volpe

La fuga di Pinocchio dai Gendarmi, da Mangiafuoco, dal Gatto e la Volpe che diventano Assassini, da una giustizia ingiusta, da adulti che sembrano mostri (e non di moralità e di bontà), dal Pescatore Verde, dal Circo e dal Pescecane, a noi bambini che la prima di una serie di riforme più bene intenzionate che efficaci – quella cosiddetta Falcucci, dal nome della promotrice – non era ancora intervenuta a far progredire da un ciclo scolastico che era ancora sostanzialmente simile a quello a cui Geppetto aveva iscritto il figlio Pinocchio, ci affascinava molto di più dei precetti morali della Fata Turchina, del Grillo Parlante e di tutti coloro che rappresentavano un mondo dei grandi fondamentalmente incomprensibile. E sognavamo tutti di salire prima o dopo su quella carrozza diretta al favoloso Paese dei Balocchi, come Pinocchio dietro a Lucignolo, costasse quel che costasse. Anche di diventare ciuchini.

E’ passato quasi un secolo e mezzo. Lorenzini (morto il 26 ottobre 1890 in una Firenze completamente diversa da quella in cui era nato 64 anni prima) non visse abbastanza per vedere il suo Pinocchio diventare uno dei successi mondiali più grandi di tutti i tempi, tradotto in tutte le lingue e consacrato al cinema dal mago dei sogni Walt Disney, che nel 1940 ne fece uno dei suoi primi capolavori di animazione. Adesso riposa nel Cimitero delle Porte Sante, sotto San Miniato, dove Firenze seppellisce da tempo immemorabile i suoi figli più illustri.

E c’é da giurare che sorrida compiaciuto nel vedere, ad ogni anno scolastico che principia, ristampare il suo figlio prediletto, quel burattino scavezzacollo che ha reso l’infanzia di noi tutti una favola a lieto fine. Come soltanto chi amava profondamente quell’infanzia poteva concepire.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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