Novembre 1989. Il muro di Berlino è appena caduto, i regimi comunisti sono in crisi in tutta l’Europa dell’Est, soprattutto quello della D.D.R. che appare sul punto di essere spazzato via da un momento all’altro. Nella Germania Democratica si susseguono i tumulti popolari e le manifestazioni contro il regime agonizzante. La folla che chiede l’arresto del primo ministro dimissionario Honecker, dei suoi accoliti e della nomenklatura comunista, sembra sul punto di fare irruzione nei palazzi del potere che arretra, per farsi giustizia da sé.
A Dresda, nell’edificio dove ha sede la filiale locale del KGB sovietico, accanto a quella del servizio gemello della Germania Orientale, la Stasi, un giovane ufficiale russo si trattiene praticamente da solo, impegnato a bruciare personalmente un’enorme quantità di fascicoli dell’archivio del servizio segreto per impedire ai manifestanti di entrarne in possesso.
Finché il 5 dicembre l’ormai fragile argine si rompe, la folla inferocita riesce a penetrare nella sede della Stasi, mettendola a ferro e fuoco. Dopodiché intenderebbe fare lo stesso, attaccando l’ancora più odiato KGB. Gli 007 sovietici superstiti chiedono al vicino distaccamento dell’Armata Rossa di intervenire, ma la risposta è negativa: da Mosca non arrivano più ordini, e nessuno se la sente di prendere iniziative che potrebbero tra l’altro facilmente portare ad una carneficina sotto gli occhi di tutto il mondo.
Il giovane russo che brucia i documenti è rimasto l’ufficiale di grado più alto dopo la fuga dei suoi superiori. Decide con notevole coraggio e sangue freddo di uscire in cortile a fronteggiare la folla, alla quale si qualifica come interprete e spiega che quello è territorio sovietico, e che lì non può stare.
Le sue parole sono lapidarie. «Ho 12 pallottole. Una la lascio per me. Ma compiendo il mio dovere, dovrò sparare».
A voi, è il sottinteso. Davanti, il russo ha un assembramento di migliaia di persone, ebbre di alcool e di libertà appena ritrovata. Ma in qualche modo nessuna di esse se la sente di andare a vedere se le parole di quel soldato solitario sono un bluff, o corrispondono alla realtà di quello che può davvero succedere.
La folla, è cronaca, si ritira. Il nome di quell’ufficiale russo, destinato a passare alla storia, è Vladimir Putin. E qualche anno dopo, il 26 marzo del 2000, verrà eletto per la prima volta presidente della Federazione russa sorta dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Il resto è storia. Di questi giorni.
Lascia un commento