Credevamo di aver visto tutto la sera che Lorenzo Patta, Marcell Jacobs, Fausto Eseosa Desalu e Filippo Tortu volarono come un lampo azzurro sulla pista di Tokyo per dare all’Italia non la più importante ma di sicuro la più suggestiva delle medaglie con cui avrebbe impreziosito il medagliere più ricco di sempre, 10 ori, 10 argenti e 20 bronzi.
Non avevamo ancora visto nulla. Un mese dopo, sulla stessa pista si corrono i 100 metri delle Paralimpiadi. Categoria T63, atleti che competono con una protesi al posto di un arto. Di nuovo un lampo azzurro, ma stavolta sono tre ragazze: Ambra Sabatini (oro), Martina Caironi (argento) e Monica Graziana Contrafatto (bronzo, di cui vi raccontiamo la storia a parte). Tre medaglie che portano il medagliere italiano paralimpico a quota 69 (14,29,26), nono posto finale come i normodotati, ma con 29 allori in più che eguagliano il precedente record di Roma 1960.
Numeri importanti, eppure che non danno, come tutti i numeri, fino in fondo la sensazione dell’epopea, dell’impresa, della suggestione, del sentimento, della commozione. In una parola, del momento.
Queste ragazze e questi ragazzi partono ad handicap rispetto a noi nella vita di tutti i giorni, non solo nelle gare sportive. E oltretutto vivono in un paese che non solo non ha mai facilitato loro l’esistenza ma si è anzi ingegnato quotidianamente di rendergliela più difficile. Se gli atleti olimpici lamentano i consueti quattro anni di oblio appena risarciti dai quindici giorni in cui si giocano tutto, quelli paralimpici lamentano quattro anni di vita dura appena mitigati da un po’ di visibilità soltanto quando vanno a medaglia. Per essere a Tokyo, tra l’altro, si prendono le ferie e si pagano le spese in proprio, non avendo nemmeno i rimborsi della Federazione.
Ma hanno un carattere, un cuore ed una testa che ne fanno dei fuoriclasse assoluti. Ambra Sabatini stablisce il record del mondo in 14’’11, a poco più di “soli” 4 secondi da Marcel Jacobs e dal suo 9’’80 di cui siamo stati così orgogliosi. Per gli appassionati italiani è a questo punto difficile stabilire quale sia dei due il record che vale di più. Quello di Ambra, va detto, è stabilito su una gamba sola.
Diciamo che è bello vedere ragazzi e ragazze alla fine avvolti dalla stessa bandiera. Urlare la stessa gioia in faccia alle telecamere, agli italiani collegati da casa ed al mondo intero. Quel mondo che relega da sempre i paralimpici in ultima corsia. Dopo pochi passi, pur con una gamba sola, queste ragazze e questi ragazzi ci hanno già ripresi e alla fine ci doppiano. Viene da chiedersi dove sarebbero arrivati se la sorte non li avesse privati di un arto normale o di qualche altro di quelli che noi diamo per scontati come componenti essenziali dei nostri organismi. Chissà, forse più indietro di dove sono adesso, perché solo chi è costretto a mordere la pista e la competizione tutti i giorni su una gamba di metallo o su una carrozzina trova quella rabbia e quel coraggio da sputar fuori.
E’ un’estate italiana tutta particolare. Vinciamo tutto, o quasi, e lo facciamo anche là dove abbiamo fatto di tutto per mortificare i nostri figli più bisognosi e coraggiosi. Barriere architettoniche di ogni tipo avvelenano l’esistenza di chi è in difficoltà, le cose non sono poi cambiate di molto da Roma 1960. Le nostre strade sono già di per se stesse una pista da competizione, del resto non ne parliamo.
Vinciamo tutto, con uomini e donne normodotati e con uomini e donne handicappati. C’é una piacevole ed ormai diffusa pari opportunità tra l’altro che interessa anche questa parte della popolazione dove le opportunità sono già ridotte in partenza.
Alla fine, le unghiate con cui queste tigri strappano l’attenzione al mondo intero finiscono per suggestionare anche chi aveva avuto già il suo momento di gloria, e magari l’aveva malamente sprecato.
Avevamo intitolato Non facciamo squadra l’articolo con cui commentavamo il flop della nazionale di volley sia maschile che femminile. E’ passato a malapena un mese, e siamo qui a commentare l’Italvolley rosa sul tetto d’Europa. Il CT Davide Mazzanti forse era già pronto a fare le valigie in caso di flop bis, e invece adesso festeggia un clamoroso successo, una incredibile rivincita. Ma soprattutto festeggiano le ragazze che un mese fa sembravano un gruppo di turiste capitate a Tokyo in gita di piacere, una squadra mediocre che arrivando ai quarti aveva fatto anche troppo.
Non rinneghiamo la scelta del titolo di un mese fa, se insieme ad altri ha prodotto l’effetto di sospingere le ragazze azzurre ad una prova di carattere come non si vedeva da tempo. Vincere in Serbia, in casa delle campionesse in carica europee ed olimpiche, di coloro che un mese fa ci avevano inflitto l’ennesima umiliazione quasi ridendoci in faccia, ha un sapore particolare. Come l’ha avuto tre mesi fa vincere sempre qui il preolimpico nel basket. Lo sport azzurro sta rialzando la testa un po’ ovunque, e lo sta facendo per le vie più disparate. Unico comune denominatore tra le varie discipline, la Serbia d’ora in avanti ci vedrà schierare dall’altra parte del campo di gioco molto più preoccupata che in passato.
L’estate italiana era stata aperta dalla nazionale di calcio di Roberto Mancini. La quale torna in campo con una stella in più sulla maglia ma con tossine ancora da smaltire, insieme ai postumi dei festeggiamenti. Non è la prima volta, nel 1982 e nel 2006 la prima partita dopo il trionfo fu una delusione, sconfitte rispettivamente con la Svizzera e con la Croazia, e consapevolezza che più che avere aperto un ciclo ne avevamo appena chiuso un altro, per quanto felicemente e gloriosamente.
Stavolta sembra di poter dire che i pari con Bulgaria e Svizzera (ancora lei) sono da considerare altrettanti incidenti di percorso, risultati ancora balneari che tuttavia non ci impediranno di andare a giocare l’arroventato mondiale in Qatar e non ci obbligheranno a rivivere l’infamia della mancata partecipazione a Russia 2018, dalla quale sembrava fino a due mesi fa che non ci saremmo mai potuti riprendere.
Gli italiani sono quel popolo che tira fuori il meglio di sé quando è con le spalle al muro. Non far programmare o organizzare loro niente, non ne sono capaci. Non ti aspettare nemmeno riconoscimenti a chi riesce a portare a casa dei risultati, a parte la consueta comparsata al Quirinale da Mattarella, né tantomeno che per i nostri portacolori così come per i nostri cittadini comuni la vita di tutti i giorni assomigli meno ad una competizione sportiva e più al modus vivendi di un paese civile.
Non ti aspettare mai nulla dall’Italia, ma vedrai che gli italiani prima o poi rimettono in fila il mondo in pista, sull’erba o nell’acqua. E malgrado questo paese sia solito maltrattare i suoi abitanti fino al punto di imporre loro i più malsani dei comportamenti, nel medagliere olimpico non sarà mai al di sotto di una certa posizione, perché il resto lo fanno sempre il cuore e la rabbia delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi.
Prima o poi arriva, come questa, l’estate italiana. Che sia un bene, questo poi è un altro discorso, per un altro giorno.
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