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Ustica

Quando passò in giudicato la sentenza con cui la Corte di Cassazione respingeva il ricorso presentato dai Ministeri della Difesa e dei Trasporti avverso la condanna a risarcire i parenti delle vittime della strage del 27 giugno 1980 sul tratto di mare compreso tra Ponza e Ustica, da essa erano passati poco meno di 33 anni. Tanto aveva resistito il muro di gomma creatosi attorno a quella strage ed alle sue responsabilità, già all’indomani di essa. Ma alla fine la magistratura giudicante aveva dovuto abbatterlo. Era il 28 gennaio 2013 quando la Terza sezione civile della Corte di Cassazione sentenziò le parole che i parenti delle vittime ed una intera nazione aspettavano da tutta una vita: a causare l’esplosione del DC9 Itavia decollato alle 20,08 da Bologna e di cui alle 20,59 i controllori di volo persero le tracce sopra Ustica, fu un missile e non un’esplosione interna, un cedimento strutturale, come hanno sempre sostenuto le autorità militari e civili dello Stato, e come nessuno fino ad allora aveva avuto la possibilità di smentire.

La sentenza era definitiva. Il giudizio che conteneva, altrettanto definitivo, incancellabile, inappellabile. La Cassazione squarciò finalmente il velo su quello che è stato uno dei più incredibili misteri di quella che Sergio Zavoli definì la notte della Repubblica, il lungo periodo delle stragi senza risposta, da Piazza Fontana alla strage di Natale del rapido 904.

In questo panorama di enigmi ricoperti di sangue, quella di Ustica è sempre stata una strage particolare. Fu chiaro da subito che il terrorismo non c’entrava nulla, che l’evento aveva avuto luogo semmai in un contesto che vedeva in gioco le forze armate di diversi paesi in un teatro estremamente delicato quale il Mediterraneo centrale, nonché i delicati equilibri di un mondo allora prigioniero della Guerra Fredda e dei rapporti altrettanto conflittuali fra oriente arabo e occidente cristiano. Fu altrettanto chiaro che la ricostruzione offerta all’opinione pubblica dalle autorità non convinceva, ed era semmai dettata da quella che era (e sarebbe rimasta fino ad oggi) una ragion di stato inconfessabile.

La tesi del cedimento strutturale sostenuta dal Governo italiano fu presto messa in discussione pesantemente dalle varie perizie eseguite più o meno ufficialmente, e dal lavoro di alcuni giornalisti coraggiosi, tra cui quell’Andrea Purgatori del Corriere della Sera che è stato poi interpretato dal compianto Corso Salani nel Muro di Gomma di Marco Risi, il film che nel 1991 effettuò una precisa e drammatica ricostruzione della tragedia, dei successivi dieci anni di indagine, delle prime verità emerse e della fatica per farle emergere, tra minacce, incidenti e umiliazioni subite da chi lottava per onorare almeno la memoria delle 81 vittime (tra cui 13 bambini), parenti o addetti ai lavori che fossero.

Molte cose tra quelle successe dopo la strage contribuirono infatti ad aggiungere mistero al mistero: dal caccia libico la cui caduta sull’Aspromonte fu evidentemente posticipata di un paio di mesi, alle misteriose sparizioni a seguito di incidenti fortuiti di quasi tutti i testimoni dell’incidente, soprattutto il personale in servizio presso le sale controllo di Marsala e Palermo, alle minacce anonime – ma non troppo – ricevute da Purgatori e da altri, al muro di omertà e rigetto trovato dai parenti delle vittime presso le stesse istituzioni italiane, all’affidamento del recupero dei relitti dell’aereo ad una ditta francese, la Ifremer, quando già si erano diffuse voci di un coinvolgimento della stessa Francia nell’incidente, alla significativa presenza della portaerei americana Saratoga nel porto di Napoli la notte del 27 giugno (ma – si badi bene la coincidenza – con tutti i radar inspiegabilmente fuori uso per manutenzione), alle clamorose risultanze delle indagini della procura di Palermo e del giudice Rosario Priore prima e della Commissione Stragi di Libero Gualtieri poi, che suggerivano con evidente verosimiglianza una responsabilità ascrivibile ad azioni militari (in altre parole, all’abbattimento del DC9 Itavia da parte di un missile) e che tuttavia si arrendevano di fronte all’impotenza ad andare oltre nell’accertamento delle responsabilità accettando un non luogo a procedere forse peggiore dello stesso muro di gomma messo su da chi quelle responsabilità voleva nasconderle.

Un giovane Emilio Fede dà l’annuncio al TG RAI della strage di Ustica

Dopo il film di Risi e Salani, non fu più possibile per l’opinione pubblica italiana e per le istituzioni mentire a se stesse, e la tesi del missile sparato da un aereo militare durante una vera e propria azione di guerra svoltasi sui cieli italiani acquistò sempre più fondamento, anche se una vera e propria azione penale nei confronti di chicchessia non è mai stata intentata. Ai parenti delle vittime non restò altro che l’azione civile contro lo Stato, per ottenere un risarcimento sicuramente più morale che materiale, motivato dall’omissione di una condotta tesa ad assicurare la sicurezza nel cielo ai velivoli dell’aviazione civile. In altre parole, il DC9 come qualunque altro velivolo non avrebbe dovuto esser stato fatto transitare in un corridoio aereo dove era in svolgimento una qualunque azione di tipo militare, sia di esercitazione che realmente operativa.

Si è sicuramente trattato della solita via traversa all’italiana, secondo cui una verità così scottante non può mai essere accertata per la strada principale ma deve emergere in modo accessorio, attraverso procedimenti tardivi e che comunque non investono il nocciolo della questione, lasciando intatte le responsabilità personali e collettive.

Tuttavia, confermando la sentenza della corte d’Appello di Palermo, la Cassazione finì per stabilire che lo Stato avrebbe risarcito i familiari delle vittime, anche oltre il milione e 240 mila euro già concessi, riconoscendo finalmente la ragione delle vittime stesse. Anche se né lo Stato né nessun altro soggetto, nazione o individuo, sono mai stati individuati come colpevoli di quanto successe ad Ustica. Neppure le ammissioni dell’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, all’epoca dei fatti Presidente del Consiglio, che nel 2007 dichiarò esplicitamente che la colpa della strage era da attribuire ad un missile lanciato da un aereo militare francese secondo quanto riportatogli dai servizi segreti italiani, hanno costituito la base per una azione penale o quantomeno per il sollevamento in sede internazionale della questione tra Stati.

Fu una amara vittoria, quella del 2013, per le famiglie delle vittime. E per chi ha lottato per buona parte della sua vita (o magari ce l’ha rimessa) per far sì che questa verità scomoda venisse fuori. Nel frattempo, oltre alle 81 vittime e a molti dei loro familiari, non ci sono più molti attori della vicenda, e lo stesso quadro internazionale è profondamente cambiato, con la deposizione sanguinosa di quel Muhammar Gheddafi che tutti ormai indicano come il bersaglio di quel missile che doveva toglierlo di mezzo con 31 anni di anticipo, e che invece andò a impattare sul volo tranquillo di 81 persone che nessuno aveva avvisato di essere finite in mezzo ad una guerra. 43 dei quali giacciono per sempre sul fondo del Mar Tirreno.

Una vittoria amara, dicevamo, ed una sensazione per descrivere la quale ricorriamo ancora una volta a Marco Risi ed alle immagini finali del suo Muro di Gomma, con Andrea Purgatori/Corso Salani che detta la sua notizia con la voce rotta dall’emozione, senza trionfo ma solo con stanchezza e tristezza, e poi la voce fuori campo che elenca il nome e cognome degli 81 passeggeri.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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