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Valentino che protegge gli innamorati

La leggenda e la liturgia di San Valentino protettore degli innamorati affondano nella notte dei tempi. Abbiamo già incontrato i Lupercalia, festività pagana che nell’Europa pre-romana e romana segnava il passaggio dai rigori dell’inverno alla rinascita del mondo a primavera, e che veniva celebrata secondo le cronache in modo abbastanza sfrenato e licenzioso. Una specia di antesignana del Carnevale odierno.

Il crescente affermarsi della religione cristiana impose, a partire dai secoli in cui la Chiesa di Roma rimase ereditiera e padrona del vecchio Impero Romano, la fagocitazione e la sostituzione di quelle festività che confliggevano con la nuova rigida morale con celebrazioni in qualche modo più confacenti.

Dalla Candelora al Carnevale (semel in anno licet insanire, una volta l’anno la Chiesa tollerava qualche giorno di trasgressione controllata, da recuperare poi nei riti purificatori del Mercoledi delle Ceneri e della Quaresima), i Lupercalia furono spacchettati dal calendario cristiano in diverse festività, tra le quali ebbe notevole risalto la celebrazione di San Valentino.

Secondo il martirologio romano, l’elenco ufficiale degli abbinamenti giornalieri ai santi canonizzati dalla Chiesa introdotto per la prima volta da quel Gregorio XIII che riformò definitivamente il vecchio calendario giuliano, il giorno 14 febbraio si commemorava il vescovo di Terni che alla fine del terzo secolo – durante la recrudescenza delle persecuzioni dell’Impero contro i Cristiani – era stato fatto martire «a Roma sulla via Flaminia presso il ponte Milvio» .

Perché un anziano vescovo (aveva 97 anni quando subì il martirio, decapitato come San Paolo) fu canonizzato come protettore degli innamorati? La necessità di sostituire gli osceni Lupercalia imponeva l’individuazione di un patrono più cristianamente adeguato, più sobrio e allocato già in quel periodo dell’anno.

Narrava una leggenda ripresa dalle cronache posteriori alla vita del santo che quando era vescovo di Terni ed era già finito nel mirino della giustizia imperiale per aver addirittura tentato di convertire a suo tempo l’Imperatore Claudio II, aveva unito in matrimonio una giovane cristiana, Serapia, ed un centurione romano, Sabino. L’unione era stata ostacolata dai genitori di lei, che poi avevano acconsentito visto che la giovane era gravemente malata. Il centurione aveva chiamato Valentino al capezzale della giovane morente e gli aveva chiesto di non essere mai più separato dall’amata: il vescovo lo aveva battezzato e quindi unito in matrimonio a Serapia, dopo di che entrambi gli sposi erano morti. Valentino era stato quindi arrestato, martirizzato, e le sue spoglie traslate sulla collina di Terni dove oggi sorge la basilica a lui intitolata.

Il vescovo Valentino avrebbe dunque suggellato con il proprio sangue quel gesto d’amore, meritandosi di passare alla posterità, cristiana e non, come colui che dà nome al giorno in cui gli innamorati festeggiano.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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