Novembre 1968. I Beatles sono una leggenda per i fans di tutto il mondo, che non immaginano in realtà quanto siano ormai vicini a sciogliersi. Moralmente, hanno cessato a quel punto di essere – di sentirsi – una band, e sono pronti ad andare ognuno per la propria strada, seguendo la propria individualità.
John Lennon è l’intellettuale del gruppo, pronto a farsi prendere per mano da Yoko Ono e portare via. Paul McCartney è la rockstar, quello che si fa meno problemi perché un futuro da hit parade ce l’ha comunque. Richard Starkey, in arte Ringo Starr…… beh, Ringo è Ringo, semplicemente, uno dei più grandi batteristi di tutti i tempi, fosse per lui e per le sue bacchette, il gruppo continuerebbe all’infinito, peccato che non stia più a lui decidere.
Poi c’é George Harrison. Considerato fino a quel momento un personaggio minore rispetto a John e Paul, il terzo dei Beatles. In realtà, lo spirito più eccelso e tormentato della band. Nella primavera di quell’anno i 4 ragazzi di Liverpool si recano in India per un viaggio nella meditazione trascendentale, sotto la guida dello yogi Maharishi Mahesh che ne è il guru più famoso, oltre che il fondatore. Dall’oriente in apparenza tornano tutti e 4, anche se come detto sono ormai 4 individualità, non più un gruppo affiatato.
In realtà, tornano in 3, perché George è come se fosse rimasto là. La sua anima è a casa in oriente, e quello che riprende il suo posto sul palco ed in sala di registrazione anche se continua a chiamarsi George Harrison è ormai un’altra persona. I Beatles fanno uscire quello che sarà il loro nono album, il cosiddetto album bianco, dal titolo omonimo alla banda (il che, se si vuole, è di per sé un sintomo di perdita di creatività).
In questo album, uno dei pezzi più struggenti e in prospettiva più famosi lo ha scritto lui, George, sempre più isolato in un gruppo dove ognuno sta scegliendo di isolarsi a sua volta, come racconterà il suo amico Eric Clapton che nella circostanza viene scritturato dagli Scarafaggi come chitarra aggiunta. Eric e George sono amici, talmente amici che il primo finirà per sposare la ex moglie del secondo, Pattie Boyd. Talmente amici che Clapton suonerà questo brano spesso e volentieri quando Harrison non ci sarà più, in sua memoria.
While my guitar gently weeps nasce per caso. Harrison è un cultore de I Ching cinesi, e un giorno – mentre è da solo a casa dei genitori nel nord dell’Inghilterra, distante anche fisicamente dai sempre più distanti compagni – compie un esperimento.
«In Oriente ogni cosa è connessa con ogni altra cosa, mentre in Occidente è solo una coincidenza», racconterà in seguito. «Il concetto orientale è che qualunque cosa accada è tutto destinato a essere … ogni piccolo oggetto che cade giù ha uno scopo. While My Guitar Gently Weeps era un semplice studio basato su questa teoria … Ho preso un libro a caso, l’ho aperto, ho letto “piange dolcemente”, poi ho posato di nuovo il libro e ho iniziato a scrivere la canzone».
Il lamento di Harrison per come l’amore universale verso l’umanità, sebbene sia latente in ogni individuo, rimanga in gran parte inespresso è destinato a rimanere come uno dei migliori successi della band e del suo autore anche come solista. Anche se, come avrebbe raccontato George e come sappiamo, anche attorno ad esso si sarebbero manifestati dissidi a fatica sanabili, come succedeva ormai al gruppo sempre più di frequente.
«Era molto difficile convincere John e Paul a prendere sul serio una mia canzone, e penso che non si impegnassero granché neppure suonandola. Quella sera tornai a casa pensando che era un peccato, perché, secondo me, la canzone era piuttosto buona. Il giorno seguente stavo andando a Londra con Eric Clapton e in auto gli chiesi: “Che fai oggi? Perché non vieni in studio a suonare in questa mia canzone?” Lui rispose: “No, non posso farlo. Nessuno ha mai suonato in un disco dei Beatles e gli altri non gradirebbero”. Io ribattei: “Senti, la canzone è mia e a me piacerebbe che tu suonassi”.»
«Per tutti quegli anni c’è stato fra noi un legame molto stretto. I Beatles non potranno mai dividersi davvero perché, come abbiamo detto al momento della separazione, non c’è davvero nessuna differenza. La musica c’è, i film sono ancora lì. Qualsiasi cosa che abbiamo fatto c’è ancora e ci sarà per sempre. Quel che c’è, c’è, non era poi così importante. È un po’ come Enrico VIII, o Hitler, o uno di quei personaggi storici sui quali si fanno sempre vedere dei documentari: il loro nome resterà scritto per sempre e senza dubbio lo sarà anche quello dei Beatles. Ma la mia vita non è cominciata con i Beatles e non è finita con loro.»
(George Harrison)
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