Manca di sapere chi tra Inghilterra e Belgio vincerà il gruppo G e se la Colombia nel gruppo H ce la farà ad evitare di essere un’altra sorpresa in negativo, a vantaggio eventualmente del Senegal. E poi Russia 2018 sarà agli ottavi di finale.
Drammi sportivi che diventano drammi nazionali, consumati o evitati per un pelo. L’Argentina come già altre volte trova l’orgoglio quando ormai la tecnica l’ha abbandonata. La prodezza di Leo Messi nel primo tempo non le basta, ci vuole una zampata finale dell’assai meno celebre Rojo, un gol della disperazione. La Pulce dimostra una volta di più di avere una classe di gran lunga superiore all’intelligenza, oltre che al carattere. Uno stop di coscia in corsa come quello che vale il primo vantaggio argentino probabilmente non lo sa fare nessun altro al mondo. Un discorso come quello del dopo-partita, «lo sapevo, Dio era dalla nostra parte», lo sanno fare purtroppo in tanti. E non annoveriamo quei tanti tra le persone intelligenti. Quando si pretende di arruolare l’Onnipotente per le nostre battaglie, è sempre segno che i nostri neuroni lavorano a vuoto.
Ancora una volta, comunque, è Maradona a rubare la scena a Messi, anche nelle idiozie. Le sue pantomime in tribuna ricordano quelle di altre edizioni in cui giocava, dalla mano de Diòs a Mexico 86, all’hijos de puta di Italia 90 al primo piano del suo volto stralunato, sconvolto, sbattuto in faccia alla telecamera di USA 94, che gli valse una indagine della D.E.A. statunitense e l’esclusione dal torneo per doping. Stavolta, più che la mano di Dio è quella del Pibe a prendersi la scena, assieme ai suoi occhi rovesciati da posseduto. Quelle dita medie sollevate nel classico gesto che De Coubertin non avrebbe apprezzato né tollerato andranno ad aggiungersi alla leggenda di un giocatore che è riuscito a fare cose addirittura più clamorose (e quasi sempre stupide) fuori dal campo, dove pure ne ha fatte di epiche.
In attesa di sapere se Dio ha voglia e tempo da perdere con Messi e compagni, bisogna dare atto comunque agli argentini di non morire mai, anche quando sembrano già sepolti. Negli ottavi incontreranno la Francia, che finora è sembrata passeggiare. Delle due, crediamo che debbano preoccuparsi a questo punto di più i transalpini. A parità di orgoglio, prosopopea e sciovinismo, i biancocelesti le streghe le hanno già viste e sconfitte. Tra l’altro, quando l’Argentina soffre così tanto nelle eliminatorie, in genere arriva in fondo, Italia 90 docet. I bleus invece devono ancora affrontare difficoltà serie, di fronte alle quali il loro calcio africano naturalizzato europeo potrebbe non bastare.
A proposito di gente che non moriva mai, exit Germania, ed è un fatto che definire epocale è dire poco. Anzitutto, non le era mai successo nel dopoguerra. Benvenuta nel club, noi italiani sappiamo bene cosa si prova, l’ultima volta fu in Sudafrica con bis concesso in Brasile. Come noi nel 2010, i tedeschi erano defending champions. Come noi nel 2010, sono sembrati lontani parenti, e per di più invecchiati, di quelli che erano.
Quattro anni sono tanti, anche per chi aveva travolto il Brasile in casa sua. Lo sport, la storia, in genere non ti aspettano. Non hanno pietà né rispetto. Appena la tua corsa rallenta, le tue gambe iniziano a tremare, la tua mente ad avvertire stanchezza prima ancora del fisico, la tua fame di successo a scemare, puntualmente ti si para davanti qualcuno che ha tutto più di te, almeno per una sera. Che ti fa sembrare questi quattro anni trascorsi una vita intera.
Loew non si dimostra più bravo di Lippi e Bearzot, né di Beckenbauer e Schoen, nel gestire il dopo, il ricambio generazionale. Così, la Germania che simpaticamente ci aveva inviato a novembre una cartolina con su scritto Ciao Italia, da ieri sera può vantare la parità assoluta con noi. Oltre alle quattro stelle sulla maglietta, adesso anche la Corea come Caporetto sportiva. La nostra era quella del Nord, la loro è quella del Sud. Strani incroci della storia, nel 2002 i tedeschi beneficiarono dei furti di Moreno & c., che consentirono ad una loro non eccelsa formazione di affrontare i modesti padroni di casa coreani in semifinale. E di superarli ovviamente, poiché quelli erano andati fin troppo avanti rispetto ai meriti, ritrovandosi quindi in una finale inattesa. Nella quale vennero superati da un Brasile altrettanto mediocre, ma che nelle sue file aveva il fenomeno Ronaldo.
Dai drammi ai trionfi. Per valutare quello del Brasile attuale bisognerà attendere test più probanti. La Serbia è un avversario da prendere sempre con le molle. Gli slavi sono notoriamente orgogliosi e coriacei. Cattivi, e spesso anche in senso non strettamente sportivo. Ma stasera al Brasile della foca ammaestrata Neymar va bene tutto. Dal pallonetto in corsa di Paulinho al pareggio ciccato clamorosamente dalla Serbia in avvio di ripresa al due a zero definitivo di Thiago Silva su calcio d’angolo. Tutto qui o poco più, con buona pace dei cronisti nostrani che urlano e squittiscono ogni volta che vedono gialloverde. Contro il Messico, negli ottavi, questo Brasile dovrà fare qualcosa in più. Come tutte le squadre americane, i messicani annetterebbero gran valore allo scalpo dei carioca, se solo riuscissero a strapparglielo.
Sugli scudi infine la Svezia, ed è una notizia tutto sommato confortante per il derelitto calcio nostrano. Non erano poi così scarsi dunque i nostri giustizieri, che mettono sotto il Messico e che avrebbero potuto addirittura chiudere il girone a punteggio pieno, se la Germania non avesse beneficiato contro di loro di una serata di condono arbitrale, rivelatasi poi inutile.
Chiudono Inghilterra e Belgio, Albione contro le Fiandre, per la supremazia nel Canale della Manica e il diritto, da non sottovalutare, di evitare il Giappone negli ottavi. Un Giappone che sembra diventato improvvisamente temibile come nel 1940. I samurai sono i veri outsider, finora, della manifestazione. Vedremo, per fermarli stavolta non potranno essere usate bombe atomiche. Bisognerà giocare bene, al meglio.
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